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giovedì 28 luglio 2011

L'infiltrazione neofascista del transumanesimo italiano

dal sito www.estropico.org

Filosofia - Varie
Il seguente articolo è una libera e parziale traduzione di On the Neofascist Infiltration of Italian Transhumanism, pubblicato sul sito dell'Institute of Emerging Ethics and Technologies a firma dei membri fondatori del Network dei Transumanisti Italiani.
Introduzione

L'Italia è l'unica nazione al mondo che abbia due associazioni transumaniste, l'Associazione Italiana Transumanisti (AIT) e il Network dei Transumanisti Italiani (NTI o Network H+). Entrambe le associazioni sono chapters di Humanity+ e entrambe sono politicamente trasversali. La AIT ha però al suo interno una corrente, i cosiddetti sovrumanisti, che sono ritenuti da alcuni pericolosamente vicini ad ambienti neofascisti. Questa è la ragione della divisione all'interno del movimento transumanista italiano e questo è il tema di questo articolo.

Ambiguità come strategia

Nell'ottobre 2009 il segretario nazionale della AIT, Stefano Vaj, ha pubblicato un articolo su IEET.org, l'organizzazione creata da Humanity+ allo scopo di dialogare con la sinistra. Si tratta di un articolo ad invito, introdotto da James Hughes, e dovuto alla pubblicità internazionale che le note polemiche fra il Network dei Transumanisti Italiani (NTI), di cui Estropico è membro fondatore, e l'Associazione Italiana Transumanisti (AIT) hanno ricevuto quando Charlie Stross si è imbattuto in The Political Roots of Overhumanism, l’articolo pubblicato su Estropico sul tema dei transumanisti neofascisti italiani, o "sovrumanisti". E come ormai di prassi, prima di continuare, precisiamo che quella sovrumanista è una corrente interna alla AIT e che nessuno sostiene che la AIT sia, nella sua interità, un'organizzazione neofascista.

Che dire? Vaj è molto esperto nel calibrare il proprio messaggio per il pubblico che si trova davanti e il suo articolo è perfettamente calibrato per un pubblico di sinistra quale quello di IEET - non che sia difficile vincere le simpatie di un pubblico di sinistra attaccando Berlusconi e il Vaticano. Ma tali attacchi non sono certo il problema. La tattica di Vaj, osservabile in vari ambiti, sembra essere quella di presentare selettivamente quegli aspetti della propria complessa ideologia che pensa saranno bene accolti in quella specifica sede, ignorando invece gli aspetti che potrebbero causare dei problemi. Possiamo solo immaginare che di fronte al pubblico "etnoidentitario" vicino alle posizioni più estreme della Lega Nord, dal quale sembra essere apprezzato, le stoccate a governo e a Vaticano lascino il posto a quella che Vaj ha battezzato "autodifesa etnica totale", dal titolo di un suo articolo che ha preferito non citare nel suo intervento su IEET. Questa è indubbiamente una tattica astuta: chi leggerà il suo contributo su IEET non potrà che giungere alla conclusione che Vaj, e di conseguenza gli altri sovrumanisti, non possono certo essere dei neonazisti, anzi, sulla base di quanto scritto da Vaj, non avranno dubbi che si tratti invece di gente di sinistra. E gli etnoidentitari di cui sopra, dopo una sua presentazione, saranno probabilmente convinti di trovarsi davanti ad uno dei loro. Così come i frequentatori di un forum neofascista quale Vivamafarka, politicamente vicino a Casa Pound, e del quale Vaj è moderatore. Ma chi ha ragione?

Attacchi di cui non abbiamo bisogno e che non ci meritiamo

Prima di esaminare più approfonditamente il tipo di neofascismo che si nasconde dietro il sovrumanismo, proviamo ad accettare per un momento la tesi di Vaj, presentata nel suo articolo per IEET, secondo la quale egli non avrebbe nulla a che fare con l'estrema destra. Se così fosse, la sua decisione di pubblicare il proprio Biopolitica presso un editore quale la Società Editrice Barbarossa non potrebbe che lasciare perplessi, dato che si tratta di una casa editrice di nicchia, specializzata proprio in materiale di estrema destra. Secondo Antisemitism and Xenophobia Today, "[in Italia] sono pubblicati circa quaranta libri antisemitici (oltre a quelli che negano l'Olocausto), stampati principalmente da piccoli editori in genere collegati all'estrema destra. Essi includono: Edizione il Cinabro, Catania; Edizioni dell’uomo libero, Milano; Società Editrice Barbarossa, Milano”. E lo Stephen Roth Institute for the Study of Contemporary Antisemitism and Racism descrive la Società Editrice Barbarossa come “editore di estrema destra”. Ma consigliamo ai lettori di decidere da soli: se per qualche ragione il catalogo libri non fosse piu' che sufficiente a chiarire come stanno le cose, si consiglia una rapida occhiata alla sezione dei CD musicali... Per non parlare del fatto che buona parte del materiale pubblicato in rete da Vaj si trova sul sito del periodico l'Uomo Libero, descritto come "periodico di estrema destra" in Antisemitism Worldwide e che, secondo il già citato Antisemitism and Xenophobia Today, "sostiene la lotta al mondialismo e alla società multirazziale; è antisemitico e negazionista dell'Olocausto". Riteniamo che tutto ciò sia più che sufficiente, di per sé, a rendere Vaj semplicemente inadatto al ruolo di Segretario Nazionale di una associazione transumanista, in quanto espone l'intero movimento transumanista ad accuse di neofascismo che esso non merita e di cui non ha bisogno. Ma c'è dell'altro...
In Italia, forse perché è proprio il Bel Paese ad aver dato alla luce il fascismo, abbiamo il dubbio onore di avere neofascisti di ogni tipo. Una delle molte sottoculture neofasciste nostrane, quella a cui appartengono i sovrumanisti, non esita a prendere pesantemente a prestito tratti ideologici dalla sinistra e in particolare da quella estrema. O forse dovremmo dire che non esita a tentare di infiltrare i movimenti di protesta dominati dalla sinistra, spacciandosi come, appunto, di sinistra. Quella dell'infiltrazione, è una tattica già tentata da alcuni gruppi neofascisti a partire dagli anni '60, gruppi che i giornali di allora battezzarono “nazi-maoisti” e alcuni dei quali hanno dei discendenti ancora attivi (vedi: Lotta di Popolonuova destra, sinistra nazionale).
Il che ci porta ad un attacco di Stefano Vaj sulla lista di discussione di Humanity+ (già discusso sul blog) e in particolare a quello che sembra essere lo strumento preferito per gli attacchi sovrumanisti ad Estropico, il quotidiano Rinascita. Vedi: Dove va il transumanesimo, di Mafalda Grandi, qui ripubblicato sul sito AIT, e Il drago transumanista, sempre di Mafalda Grandi, qui ripubblicato sul sito AIT (qui una risposta agli attacchi della Grandi).
Naturalmente, e qui veniamo al travestitismo politico sovrumanista, il nome "Rinascita" non può che far tornare in mente la storica rivista del PCI che ha cessato le pubblicazioni nel 1991. Esiste però anche un'altra Rinascita, quella pubblicata dal Partito dei Comunisti Italianifino al marzo 2010. E non sorprenderà sapere che ai giornalisti di questa Rinascita non facesse affatto piacere che la propria pubblicazione potesse essere confusa con un'omonima testata neofascista. Due di loro (Fabio Giovannini e Valeria Russo) hanno quindi deciso di mettere i proverbiali puntini sulle i. Il loro reportage è stato pubblicato il 27 novembre 2008, ma purtroppo lo abbiamo scoperto solo recentemente - putroppo perché è una miniera di informazioni su quella sottocultura interna al microcosmo del neofascismo italiano a cui sembrano fare riferimento i sovrumanisti. Ecco alcuni passaggi (qui il documento completo, in formato Pdf, su Transumanisti.org): (PdCI)
Nero quotidiano. In edicola c'è un quotidiano che si chiama "Rinascita", proprio come il nostro settimanale. Chi sono? Cos'è la sinistra nazionale? Abbiamo deciso di indagare e abbiamo scoperto la verità. Si tratta di un foglio neofascista che si nasconde dietro simboli e parole della sinistra. E il loro progetto di camaleontismo politico risale addirittura al '68.
Il quotidiano "Rinascita" fa parte di una rete dell'estrema destra che cerca di spacciarsi per "sinistra".
Rinascita, sostiene il direttore Gaudenzi, "non si è mai definita di estrema destra". Eppure i suoi collaboratori, i contenuti degli articoli e i collegamenti esterni sono tutti di area neofascista.
...continua la vecchia abitudine di strizzare l'occhio alla sinistra, ad esempio nella critica all'imperialismo americano: un punto di forza di Rinascita, infatti, è l'antiamericanismo.
Gli esponenti di quest'area si dichiarano contro il globalismo finanziario, ma contrari anche alla lotta di classe e a favore delle gerarchie [...] Per loro l'emergenza principale è la rinascita nazionale, cioè la difesa etnica e dell'identità e tradizione euro-italica. Non solo si richiamano alle teorie differenzialiste di Alain de Benoist, ma si avvicinano alle tesi più estreme della Lega Nord. Dall'odio per gli Stati Uniti discende una collocazione filoaraba, in funzione antiebraica. In contrapposizione al dominio americano sul mondo viene sostenuto un polo geopolitico "eurasiatico" [...] Chiunque si opponga all'America viene eletto come punto di riferimento: in passato la Serbia di Milosevic e l'Iraq di Saddam, oggi l'Iran di Ahmadinejad, ma anche due roccaforti "rosse" dell'antimperialsmo contro gli USA, la Corea del Nord e Cuba.
Ma questo trasversalismo non impedisce a quest'area di rimanere razzista, secondo la tradizione che vuole difendere il "sangue" italiano dalle contaminazioni estranee (il "mondialismo" come "complotto che distrugge le razze" è la bestia nera di questo tipo specifico di fascisti italiani).
I nazi-rinati non scelgono l'Europa "cristiana", ma occhieggiano preferibilmente al neopaganesimo e all'islamismo.
...navigando sulla rete scopriamo che Rinascita viene presentata dai camerati come il quotidiano d'area, insieme al quindicinale del socialismo nazionale Italia Sociale, di cui Gaudenzi è stato direttore responsabile, e alla rivista milanese l'Uomo Libero.
I giornalisti di Rinascita (quella del PdCI) descrivono una "tela nera" che ruota intorno a Rinascita (quella neofascista): "un piccolo impero fatto di testate giornalistiche, cooperative, societa' e siti internet." Fra questi troviamo l'Uomo Libero (col quale Stefano Vaj collabora dal 1980), Italia Sociale ("il quindicinale del socialismo nazionale"...) sul quale i sovrumanisti Francesco Boco e Adriano Scianca hanno pubblicato molti loro articoli (fra i quali quello contenente il famoso elogio delle Waffen SS di Boco e una recensione di Biopolitica, di Stefano Vaj, dello stesso). Guardacaso, in questa "tela nera" ritroviamo tutti gli autori sovrumanisti i cui scritti sono regolarmente ospitati su Divenire, la rivista della AIT.

Se avete già letto All'armi siam transumanisti, molto di ciò non vi giungerà nuovo, ma è interessante notare come Estropico (politicamente trasversale ma difficilmente descrivibile come "comunista") e Rinascita (organo del Partito dei Comunisti d’Italia) siano giunti a conclusioni praticamente identiche su questa atipica sottocultura neofascista. Soprattutto tenendo a mente che Vaj, nel difendersi di fronte ai lettori di IEET, sostiene che “l’ossessione paranoide di identificare una presunta ‘piaga rosso-bruna’ di Socialisti-Fascisti” sia una caratteristica della “intolleranza neoconservatrice”. Qualcuno dovrà spiegare a quelli del PdCI che anche loro, come Estropico (secondo Vaj e camerati), sono in realtà nient'altro che neocon...

Uno degli articoli del servizio di Rinascita ("Quando i camerati vogliono cavalcare i movimenti") è dedicato ai falliti tentativi di infiltrazione del movimento studentesco da parte del Blocco Studentesco, l'organizzazione giovanile di Casa Pound di cui Scianca è responsabile per le attività culturali (ma si veda la precisazione sui rapporti fra CasaPound e sovrumanisti ricevuta nei commenti a questo post su Estropico Blog). Dall'articolo: "Avere una piazza finalmente propria, dopo tanti tentativi falliti, poteva sancire la legittimazione nazionale di un movimento marginale che sta cercando in tutti i modi di espandersi". Ma lo slogan "Ne' rossi ne' neri, solo liberi pensieri" non ha tratto in inganno nessuno. E' tristemente ironico che questa tattica si sia invece dimostrata efficace nell'infiltrare il transumanismo italiano, o quantomeno una sua parte.

Un inopportuno accostamento di neofascismo e transumanismo

La nostra preoccupazione principale riguarda la visibilità offerta dalla AIT ai sovrumanisti, una visibilità che rischia di creare confusione fra transumanismo e sovrumanismo. Nel 2008, il filosofo e storico della scienza Paolo Rossi ha pubblicato Speranze, nel quale critica sia coloro che ormai per decenni hanno previsto una fine del mondo sempre dietro l'angolo, sia coloro il cui illimitato ottimismo fa prevedere un prossimo paradiso terrestre. Fra quest'ultimi Rossi include i transumanisti, ai quali dedica una decina di pagine, occupandosi sia degli scritti di autori internazionali, con particolare enfasi su quelli di Nick Bostrom, che di quelli nostrani. Biopolitica, di Stefano Vaj, è sbrigativamente descritto come considerato “neonazista”, per poi passare agli articoli di Adriano Scianca. L'impressione riportata da Rossi è che Scianca speri nell'avvento di una "comunità di destino" (Schicksalsgemeinschaft) di hitleriana memoria. Non solo Rossi dedica più spazio a Scianca che a Bostrom, ma così facendo crea un collegamento tra fascismo e transumanesimo che rischia di essere una palla al piede per anni a venire - il tutto grazie alla sovraesposizione offerta ai sovrumanisti dalla AIT.

Biopolitica

Nella sua introduzione all'articolo di Vaj per IEET, James Hughes ha descritto il libro di Vaj (Biopolitica) come "bioliberale", ma in seguito (sulla lista di discussione di Humanity+) ha precisato di non averlo letto e che il suo giudizio si basa su rassicurazioni ricevute da altri (possiamo solo speculare che si tratti di militanti AIT non-sovrumanisti). Nonostante questa onesta chiarificazione, e pur comprendendo appieno il desiderio di Hughes di proteggere la reputazione del transumanesimo, il suo commento si presta ad essere sfruttato come "prova" dello sdoganamento sovrumanista da parte del transumanesimo internazionale, così ulteriormente facilitandone il progetto di infiltrazione.

Biopolitica è un capolavoro del "dire senza dire", per cui non ne presenteremo qui di seguito una serie di estratti. Invece di accettare la nostra opinione, invitiamo alla lettura di Biopolitica, in modo di evitare la tipica tattica vajana di tentare di deflettere le nostre accuse affermando di essere stato citato fuori contesto. Siamo convinti che se lo farete capirete come mai un testo talmente "bioliberal" possa essere consigliato sul forum neonazista Stormfront come uno dei "Libri essenziali per una sana educazione razziale" e come possa essere finito sulla lista di letture consigliate dal Movimento Sociale Fiamma Tricolore.

Concludiamo chiarendo che Stefano Vaj è solo la cima dell'iceberg sovrumanista e che solo un'interpretazione sistematica di questo mini-movimento, di cui speriamo di aver presentato un abbozzo in questo articolo, può spiegarne il retroterra ideologico, gli obiettivi e il tipo di futuro postumano da esso sperato.

Vedi anche:
Tecnofascismo? No grazie

Aggiornamenti (su Estropico Blog)

Tecnoscienza - Intelligenza artificiale

Sistemi Intelligenti totalmente integrati. Intervista a Barney Pell, fondatore di Powerset
dal sito www.estropico.org
Le interviste del SIAI (Singularity Institute for Artificial Intelligence)


Sono Barney Pell, attualmente fondatore e CEO di Powerset, un'azienda che usa l'intelligenza artificiale avanzata per fornire al mondo un nuovo modo di ricercare le informazioni, un modo che permetterà agli utenti di effettuare ricerche usando il linguaggio naturale, invece di dover parlare in termini comprensibili per un computer. Tuttavia, non abbiamo ancora creato l'intelligenza artificiale generale e stabile, stiamo lavorando alle primissime fasi. Ma stiamo avendo aiuti da alcuni importanti progressi nell'AI che sono rimasti fermi per i trent'anni passati. Penso che prevedere il futuro sia molto difficile. Noi possiamo al massimo fare analisi in base ai trends. Ci sono stati progressi costanti nell'AI, come mostra la legge di Moore. Ripensando alle prime ricerche sull'AI, dovevi spendere tutto il tuo tempo a cercare di fare entrare ogni cosa all'interno di poca memoria e potenza di calcolo. Quindi l'AI è diventata ora molto più malleabile grazie ai progressi in quei due settori. Un buon esempio sono gli scacchi. Quando la gente ci si cimentò, le prime volte, era uno dei primi grandi problemi dell'AI, e la gente diceva che avremmo avuto un programma di scacchi in grado di battere un campione mondiale (umano) magari entro soli cinque anni. Ma poi cinque anni passarono senza molti progressi, e così per altri 25, 30 anni. La gente si stava quasi scoraggiando, quando finalmente le cose cominciarono a funzionare. C'era stato un avanzamento importante nella Scienza, nella Legge di Moore, c'erano programmi che surclassavano in alcune situazioni campioni mondiali (umani). E' vero, alcuni di questi problemi sono davvero difficili, richiedono molto tempo, ma quel che ci aspettiamo è che la tecnologia avanzi.
Specificamente per la Singolarità, è difficile fare previsioni. Direi che entro un centinaio di anni, è quasi sicuro che avremo computer in grado di lavorare a livelli umani, assorbendo informazioni dal mondo e processandole più in fretta di noi, e il problema è solo se noi riusciremo a stare al passo. Io sono un consulente al SIAI. Il SIAI è un ente no-profit che essenzialmente prevede quali saranno le conseguenze a lungo termine quando una vera intelligenza artificiale arriverà e condizionerà il mondo. Ci sono alcune questioni davvero interessanti. Sappiamo che nei progressi tecnologici la gente ha vari interessi, di tipo accademico, intellettuale, economico. Ma prima o poi quel traguardo tecnologico arriva, e spesso ci rendiamo conto delle conseguenze solo dopo. Il SIAI si occupa di guardare lontano e cercare di fare previsioni e, sebbene le cose sembrino molto al di là dal venire, il futuro arriverà più in fretta di quanto ognuno di noi prevede; ecco, noi guardiamo lontano e diciamo "Di cosa è necessario preoccuparsi già da ora?". Magari ci sono cose da fare per prepararsi, o forse bisogna prendere in considerazione le modalità che servono per progettare questi sistemi di AI, così ci saranno le giuste AI nel futuro, invece che, potenzialmente, quelle sbagliate.
Quindi, molte delle cose di cui parliamo qui entrano quasi nel regno della fantascienza. La cosa buffa è che le cose che erano fantascienza dieci o venti anni fa ora sono reali, e noi stiamo guardando questi tipi di scenari. La cosa di cui parliamo ora sono forse scenari alla terminator. Cosa succede quando hai un sistema AGI altrettanto o più intelligente degli umani, come si relazionerà con gli umani? Che succederà se avrà scopi tutti suoi? Magari sfuggirà al controllo. Un esempio è un sistema di AI distruttiva, interessata solo a conquistare il mondo. Questi sono in un certo senso i lati nascosti e temibili dell'intelligenza artificiale che vediamo spesso nella fantascienza. Potrebbe succedere che una IA vedrà gli umani semplicemente come una minaccia e vorrà, come vorrebbe un umano, distruggerli e dominare ogni cosa. Quindi questo sarà ciò che avverrà quando avremo sistemi intelligenti così potenti, forse più intelligenti di noi, con certi istinti radicati di dominio e che potenzialmente potrebbero uccidere tutti? Sarebbe sicuramente una brutta cosa.
Ora, non ci sono ragioni per cui ad un sistema intelligente serva avere una visione circoscritta. Molte persone pensano che sia scritta nella nostra architettura di primati. Molti animali non l'hanno. Non è fondamentale, per l'intelligenza. Rendendoci conto di quale sia l'architettura di una mente intelligente e che c'è un'intera "famiglia di menti possibili" che potrebbe essere progettata, quali proviamo a progettare? Dovremmo inserire alcuni tipi di emozioni negative, o solo quelle buone? Si può avere il bene senza il male? Sono queste le questioni da affrontare ora, e la cosa ha effetti sul tipo di architetture mentali che possiamo creare.
Queste questioni sono certamente lontane nel futuro. Ma, come sappiamo dai progressi tecnologici, il futuro arriva prima di quanto ci aspettiamo. In particolare, abbiamo il concetto di cambiamento accelerato, promosso da Ray Kurzweil, dove le cose avvengono sempre più in fretta. Quindi, i computer accelerano più in fretta che mai. Quanto è lontano questo futuro? Davvero non lo sappiamo. Quindi possiamo dire che ce ne potremmo occupare quando la creazione di questi sistemi di AI sarà vicina. Ma forse se ci pensiamo in anticipo sarà meglio. Il problema è che a quel punto certe scelte potrebbero essere già state fatte e si potrebbe non tornare indietro. Quindi la cosa interessante è pensare in anticipo: "Ci sono aspetti che dovremmo prendere in considerazione ora, prima che sia magari troppo tardi?" Perché se ipotizziamo che mancano solo cinque anni alla realizzazione di questi sistemi di AI forte, potrebbero esserci decisioni importanti da compiere subito per evitare di avere poi spiacevoli conseguenze.
La Singolarità è l'idea che ci sarà un momento unico nella storia umana dove i computer arriveranno ad essere tanto intelligenti quanto gli umani. E siccome il tasso di sviluppo dei componenti elettronici è più rapido del tasso si evoluzione dei sistemi biologici, arriverà un momento in cui i computer raggiungeranno gli umani e le cose si altereranno irreversibilmente. I computer a quel punto continueranno a migliorare sempre più in fretta mentre le persone potenzialmente rimarranno con la stessa architettura cognitiva e non miglioreranno con la stessa velocità. Quindi, tutto inizierà a cambiare molto in fretta. Quali nuovi livelli di informazione saranno disponibili e quali tipi di menti saranno in grado di collegarsi tra loro? Reggeremmo fino al momento in cui i computer staranno al passo con l'informazione e noi no e il mondo, da quel momento in poi, correrà troppo in fretta per noi. Gli unici che terranno il passo col cambiamento e con l'informazione saranno in effetti i computer. E' questa la Singolarità.
Quanto al mio background, mi sono interessato a lungo all'AI: da quando ero bambino, in realtà. Quando dovevo ancora laurearmi a Stanford, mi specializzai in sistemi simbolici, un'area dove la filosofia, la psicologia, la linguistica e la scienza informatica convergono, in quanto si cerca di capire cosa diventerà un sistema intelligente. Ho lavorato, sebbene non ancora laureato, alla comprensione del linguaggio naturale in uno dei più grandi laboratori al mondo sull'intelligenza artificiale. Poi presi un PhD in scienza informatica e AI all'università di Cambridge, dove ancora mi occupavo dei problemi dell'intelligenza Artificiale e a come potevano le macchine imparare dalla loro esperienza quando si imbattevano in nuovi problemi che non si erano mai presentati, immaginando strategie e soluzioni agli stessi. Poi andai alla NASA, e alla NASA, lavorai nel campo dell'intelligenza Artificiale applicata a software che potenzialmente potessero creare e controllare navicelle spaziali in completa autonomia. Lavorando su diagnosi, pianificazione, esecuzione multi-thread, controllo e monitoraggio, abbiamo messo insieme le conoscenze più avanzate dei nostri laboratori e le abbiamo riunite nella prima architettura software autonoma per navicelle spaziali e l'abbiamo fatta volare a bordo di un astronave. Abbiamo dimostrato che ognuno poteva sottoporre al sistema obiettivi di alto livello e il sistema, analizzati questi obiettivi, avrebbe pianificato una strategia per raggiungerli. E poi avrebbe tenuto traccia di cosa man mano succedeva, e se ci fossero stati problemi, li avrebbe diagnosticati, avrebbe provato a ripararli e poi avrebbe pianificato di nuovo il tutto e sarebbe ripartito adattatosi alla nuova situazione. In questo modo demmo la possibilità alla NASA di mandare navicelle spaziali fuori ad esplorare l'universo senza dover essere vincolate alle linee di comunicazione con la Terra, creando di fatto un'intera nuova architettura di sistemi in grado di adattarsi. Questo lavoro fu in parte d'ispirazione per la missione su Marte, dove avevamo rover in azione ancora non tanto autonomi quanto avremmo voluto, ma molto più di quanto lo fossero prima. Almeno potevano far fronte ai loro problemi, superare ostacoli, e cose del genere.
Sono stato coinvolto in diverse compagnie nuove da quando ho lasciato la NASA. Attualmente, sono fondatore e CEO di un'azienda chiamata Powerset. Stiamo sviluppando innovazioni rivoluzionarie nella comprensione del linguaggio naturale. I nostri sistemi leggono tutti i documenti del web e li convertono in una rappresentazione semantica cercando di comprendere il loro significato. Al momento della ricerca, un utente può utilizzare un linguaggio a lui naturale ed il sistema poi ne estrae il significato e fa una ricerca incrociata tra il significato della ricerca dell'utente ed il significato di tutto il contenuto e di tutta l'informazione che ha, per restituire un tipo di ricerca del tutto nuovo. Quindi, in effetti stiamo cercando un punto di contatto tra il linguaggio naturale e le potenzialità dell'intelligenza artificiale avanzata, cosa che condizionerà la vita di tutti. Sarà davvero la prima volta che potremo dire di interagire veramente con un sistema intelligente. Siamo tuttavia ancora agli inizi. Stiamo esplorando trent'anni di progresso nel campo dell'intelligenza artificiale. Ma possiamo già vedere, in quello che stiamo facendo, come un sistema una volta letti documenti possa iniziare ad aumentare la sua intelligenza direttamente da quelli, il che dà il via a vari tipi di reazioni a catena dove il sistema cerca di conoscere sempre di più, cerca di imparare e continua ad andare avanti finché non ha una base di conoscenza talmente ricca che gli permetta di interagire col mondo.
Per ottenere la vera intelligenza artificiale, sono richiesti requisiti di un certo livello su molti fronti differenti della tecnologia. Un'area a cui sono particolarmente interessato è la comprensione del linguaggio naturale. Il che consiste essenzialmente nel rendere le macchine in grado di ragionare sul linguaggio: leggere, comunicare, comprendere, fare collegamenti, dialogare con altre persone e altre macchine intelligenti. In realtà ci sono molte altre capacità richieste. Per esempio, l'abilità umana di processare la visione per essere in grado di individuare gli oggetti e prevedere le conseguenze del loro movimento nello spazio. Ancora non abbiamo niente del genere nei computer. E poi, anche se si costruiscono sistemi che hanno comprensione del mondo e del significato delle cose, finché non sono dotati di capacità percettive non avremo mai un sistema davvero intelligente. Ci sono molti, molti aspetti. Alcune persone credono che alla fine queste intelligenze dovranno essere dotate di un corpo che possa impegnarsi in prima persona nella realtà di tutti i giorni, percepire cose, formare associazioni e quindi spendersi per la società. Quindi, penso che non basterà semplicemente risolvere un unico problema. Il tutto dipenderà da un'intera architettura che integra diversi aspetti dell'intelligenza e capace di imparare dall' esperienza grazie all'interazione con il mondo.
Non è solo questione di avere uno strumento intelligente come un frigorifero che ordina il latte. E' questione di avere strumenti intelligenti completamente integrati. E' questione di sistemi che potrebbero avere i loro propri corpi, camminare, parlare a robot che sono fisicamente tanto in grado quanto noi di vivere nel mondo e di capire le cose con la stessa, o maggiore, intelligenza di noi. E' questo il mondo di cui parliamo, dove non ci sono solo piccoli strumenti che ci limitiamo semplicemente ad utilizzare, ma agenti con volontà propria, bisogni propri, movimenti propri, e potenzialmente pari, o chissà, in una posizione superiore a noi. Il mio ruolo al SIAI è di consulente. Penso che quello che stanno facendo sia grande. Penso che siano per davvero il punto di incontro per tutte quelle persone che vogliono pensare a queste cose, non solo alle questioni a breve termine sull'intelligenza artificiale o di una singola applicazione o di un'altra, ma davvero alle questioni fondamentali a lungo termine su che realtà avremo quando questo settore sarà davvero avanzato e quando, quindi, questi sviluppi saranno realtà. Sono davvero felice di sostenere la gente che adotta questa prospettiva visionaria. E' una piccola organizzazione ed hanno dalla loro alcune persone davvero brillanti e che amano il proprio lavoro, e il mio ruolo è quello di essere parte di questa realtà, aiutare le persone a comprendere il valore, essere un evangelista, e portare altra gente interessante.
Dato che sono un esperto di intelligenza artificiale e che la mia azienda Powerset sta davvero costruendo i confini dell'intelligenza artificiale, possiamo dire di essere parte di questo ambiente dove la gente pensa a ciò che succederà in futuro quando ci saranno queste macchine intelligenti. Questo genera molto interesse nelle persone che vogliono investire su intelligenze brillanti o trovare modi per coinvolgermi. Quindi, è apprezzabile avere un'organizzazione come il SIAI, nella quale posso far incontrare persone per creare un gruppo di individui interessati a questioni veramente importanti. Penso che molto, nel mondo, sia guidato dalle idee, e se non si pensa ad un'idea e ci si limita a fare semplicemente il proprio lavoro, si potrebbe a lungo andare rimanere da soli. Una volta ogni tanto, viene qualcuno che ha un'idea. E una volta che si è consapevoli di quell'idea, tutto quel che si fa risulta, più o meno consciamente, diretta conseguenza. Penso sia ciò che sta facendo qui il SIAI. Stanno davvero portando avanti il concetto di Singolarità e il fatto che il futuro dell'intelligenza artificiale si sta avverando molto più in fretta di quanto la gente avrebbe mai immaginato. Abbiamo davvero bisogno di pensarci. Le conseguenze sono davvero importanti. La semplice idea di esserci, di essere visibili a comunità sempre più grandi, significa che nel nostro lavoro quotidiano, sensibilizziamo la gente al problema. Questa idea può fare la differenza tra il far avvenire le cose in un modo dispersivo, inefficace e potenzialmente ostile, oppure in modo ragionato, coordinato e produttivo per ottenere il futuro che tutti noi vorremmo avvenisse.
Dal punto di vista finanziario, c'è un grosso numero di settori in cui poter contribuire. Molti di questi hanno conseguenze immediate. Facciamo una particolare cosa, e vediamo il risultato dopo poco. E molte di queste condizioneranno un gran numero di individui l'anno che verrà. Ed è così che si misurano i risultati, dal numero di persone condizionate. Penso che il SIAI stia davvero portando avanti un'idea nuova di come investire. Investe sul futuro a lungo termine dell'umanità ed il futuro a lungo termine della tecnologia. Ma il punto è che il lungo termine si crea ogni giorno e si sta creando proprio ora. Quindi, partecipando, investendo, e sostenendo il SIAI, puoi davvero essere sicuro che il tuo gesto avrà conseguenze importanti sul futuro dell'umanità.

Traduzione italiana di Michele Gianella. Trascrizione originale, su Future Current: Fully Integrated Intelligent Systems. Ci scusiamo di ogni eventuale errore di traduzione, e vi invitiamo a segnalarcelo.
Qui il video originale dell'intervista, sul sito del Singularity Institute.
Immagine: Information, by untitledprojects

martedì 19 luglio 2011

MANUALE PER IL NUOVO MILLENNIO

da Repubblica.it

In pochi anni le generazioni che hanno vissuto il Novecento e che con esso si sono confrontate, hanno combattuto e interrogato in linea con la modernità (e perfino con la postmodernità), sembrano aver dilapidato quel patrimonio di idee e di esperienze come mai in epoche precedenti era accaduto. È come se il nuovo secolo lungi dal tentare una continuità con il precedente faccia di tutto per staccarsene, per mostrarsi radicalmente diverso o quanto meno indifferente al proprio passato. In che modo dunque ci si può predisporre all' analisi dei nostri tempi se questi tempi sembrano refrattari all' uso delle categorie consuete? Prendete un pensatore come Slavoj Zizek, un tipo gioviale - per via delle fattezze fisiche, gli amici lo hanno soprannominato "l' orso di Lubiana"- uno che gira il mondo e che quando riflette non si accontenta degli schemini liberal-democratici o postmoderni, ma va dentro alle questioni con molta determinazione e qualche originalità, ebbene perfino Zizek ha dovuto fare un grande sforzo di ripensamento del proprio lavoro come dimostra il suo nuovo libro il cui titolo è già la spia di un disagio: Vivere alla fine dei tempi. Quali tempi, vi chiederete. E la risposta non può che essere il tempo globale, quello che tutto avvolge e ricomprende sotto una stessa cifra, sotto una stessa bandiera, sotto un medesimo sentire. E che per reazione ha prodotto localismi impensabili solo qualche decennio fa. Mai un secolo,o meglio un millennio, si è aperto con così tante paure e angosce, neppure nei tempi più bui, neppure in quell' attesa di catastrofe millenaristica che segnò la svolta dell' anno Mille. Eppure il libro di Zizek non è una riflessione sulla decadenza, non va confuso con quelle opere, alla Spengler per intenderci, che parlavano di inesorabili tramonti nei quali l' Occidente era ormai destinato. Vivere alla fine dei tempi è semplicemente vivere nei nuovi tempi, quelli che oggi ci appartengonoe dai quali difficilmente riusciremo a evadere. Dunque tuffatevi nella lettura di queste seicento pagine - a volte geniali e a volte confuse - ma senza immaginare che lì si trovi la soluzione al problema, perché il problema semplicemente non risponde più alle sollecitazioni consuete, alle interrogazioni tradizionali. Wittgenstein, a suo tempo, parlò di "crampi linguistici". Ecco: è come se Zizek riproponesse quella scena: la muscolatura dei concetti e delle parole si è contratta, irrigidita e facciamo molta più fatica a camminare, cioè ad analizzare il percorso. Naturalmente nel libro ritroviamo alcuni temi cari a Zizek: il suo marxismo duro ed eterodosso, la sua passione per il cinema (soprattutto hollywoodiano), le cui trame sono le nuove narrazioni capaci di popolarizzare la nostra vita concettuale; infine Jacques Lacan: il maestro, il punto di riferimento che attraverso la triade Immaginario, Simbolico, Reale ci offre una possibile e plausibile spiegazione del mondo. Nel leggere i testi di Zizek mi sono chiesto da dove nascesse questo interesse (diciamo pure fedeltà) al cinema e alla psicoanalisi e la risposta è che entrambi ci offrono virtualmente un' altra vita, un' altra occasione di godimento (di eccedenza libidinale) nei riguardi di un reale che ha perso i tratti della riconoscibilità. Abbiamo perciò bisogno dell' inconscio, del d e l m o derno e dei suoi grandi interpreti: Cartesio, Kant, Hegel, Marx, Freud. Ma in Vivere alla fine dei tempi qualcosa è mutato, qualcosa è accaduto alla nostra civiltà, al sistema globale del capitalismo che sta andando dritto verso un apocalittico punto zero. Quattro sono le emergenze: il collasso ecologico, la riduzione biogenetica degli umani a macchine manipolabili, il controllo digitale totale sulle nostre vite, la crescita esplosiva delle esclusioni sociali. In fondo non è affatto vero che stiamo esportando democrazia e che stiamo andando verso società più egualitarie. Il quadro che ci si prospetta è quello di una violenza sconosciuta in passato e che si realizza attraverso le speculazioni finanziarie e le catastrofi di vario tipo (naturali, fisiche, mentali). Con quali conseguenze? Se il secolo Ventesimo è stato dominato dal soggetto scabroso (titolo di un libro di Zizek), cioè un soggetto che interroga, che mette in dubbio ed è capace di reagire anche con durezza alle avversità, il Ventunesimo secolo porrà al centro il soggetto post-traumatico. Si tratta di una figura di "sopravvissuto" alla violenza (rifugiati, clandestini, vittime del terrorismo, sopravvissuti ai disastri naturali, e perfino i malati di Alzheimer), la cui nuova identità simbolica è prodotta interamente dal trauma subito. E allora si capisce bene la frase per cui «l' 11 settembre ha segnato la fine della postmodernità, la fine dell' epoca dell' ironia e della correttezza politica». Il nuovo soggetto che avanza è dunque agli occhi di Zizek uno sconosciuto che non ha più legami col proprio passato. Inquietante, verrebbe da osservare. Ma su questa entità misteriosa che cosa il pensiero può dire di nuovo? Mi ha colpito una frase di Zizek: «Il mio sogno è avere una casa composta solo di spazi secondari e luoghi di passaggio - scale, corridoi, bagni, ripostigli, cucine - senza soggiorno né stanze da letto». In fondo la vita intellettuale dell' "orso di Lubiana"è molto simile al suo credo architettonico: un pensiero inospitale, dove le soste sono emergenze brevi e non esistono più luoghi nei quali trovare un riparo sicuro. - ANTONIO GNOLI

La pennichella dei neuroni che ci fa dormire a occhi aperti

da Repubblica.it

Sembra che sia sveglio, ma il cervello troppo stanco manda a dormire un gruppo di neuroni alla volta. Come i delfini e alcuni uccelli migratori fanno riposare un solo emisfero per non dover interrompere il loro viaggio, così il nostro cervello si difende dalla stanchezza con pennichelle talmente brevi (meno di un decimo di secondo) e limitate a piccoli gruppi di cellule da non intaccare lo stato di veglia generale. Nell' esperimento dell' università del Wisconsin i topolini mantenevano gli occhi aperti, camminavano e cercavano di afferrare delle palline di zucchero. L' elettroencefalogramma indicava senza ombra di dubbio uno stato di veglia. Eppure gli elettrodi usati per osservare alcuni gruppi di neuroni della corteccia cerebrale li trovavano a volte addormentati. «Dopo una veglia molto lunga alcuni neuroni si "spengono" brevemente, come avviene nel sonno» scrivono su Nature di oggi i ricercatori Usa guidati dagli italiani Chiara Cirelli e Giulio Tononi. «Durante questi periodi di "sonno locale" gli animali sono attivi e vigili. Ma fanno sempre più fatica a raggiungere le palline di zucchero che gli abbiamo messo vicino». Le isole di siesta nel cervello iniziano ancor prima che ci si senta assonnati e aumentano con le ore di veglia. «Le pause dei neuroni durano circa 50 o 100 millisecondi» spiega Tononi. «E il fenomeno opposto avviene quando dormiamo. Quando le ore di sonno diventano soddisfacenti, i neuroni cominciano gradualmente a mostrare i segni dello stato di veglia». La scoperta dimostra che sonno e veglia non sono condizioni impermeabili fra loro. E che il cervello non è un unicum, ma può comportarsi in maniera diversa non solo tra un' area e l' altra, ma anche fra un gruppo di neuroni e l' altro all' interno della stessa area. L' esperimento è stato condotto in due zone della corteccia cerebrale, la parietale e la motoria, con elettrodi molto precisi fissati per alcuni giorni sulla testa dei roditori. «Monitorando un gruppo di una ventina di neuroni - dice Cirelli - ne abbiamo trovati 18 attivi, mentre 2 alternavano attività e silenzio come avviene durante il sonno». Se un neurone si addormenta ogni tanto il cervello può continuare a funzionare bene. «Ma il problema è subdolo» spiega Tononi. «Può darsi infatti che quel singolo neurone sia fondamentale per l' attività che stiamo svolgendo. La sua assenza finisce così col causare una défaillance. Nel caso dei roditori, le palline di zucchero non vengono più raggiunte con regolarità. In quello degli uomini, le cellule che vanno off-line possono provocare decisioni sbagliate. Ecco perché quando siamo stanchi commettiamo più errori pur essendo complessivamente svegli». Le prime a cadere addormentate sono probabilmente le cellule più sfruttate durante il giorno. «Nei nostri studi precedenti - spiega Tononi - abbiamo osservato che i neuroni più sollecitati nelle ore di veglia accumulano molte nuove sinapsi e collegamenti. Il sonno serve proprio a sfrondare questi "rami" in eccesso e ad alleggerire il cervello dalle connessioni meno utili. È probabile che questo avvenga anche a livello dei singoli neuroni. Quando il peso delle esperienze vissute e del lavoro svolto durante il giorno diventa eccessivo, finiscono col cadere addormentati, indifferenti a quel che fa il resto del cervello». - ELENA DUSI

Quel clic della genetica che accende l' intelligenza

da Repubblica.it

L' eterno tentativo dell' uomo di aumentare la propria intelligenza passa oggi attraverso l' ingegneria genetica. Facendo scattare un gene come fosse un interruttore, i ricercatori della Columbia University di New York hanno aumentato il numero di neuroni in alcuni topolini, rendendoli più scaltri in una serie di test che nei laboratori si usano per misurare le capacità cognitive e di orientamento degli animali. «Siamo intervenuti - scrivono i ricercatori guidati da René Hen su Nature - su un gene che regola il numero di neuroni del cervello adulto, causando la scomparsa del 50-80% delle cellule di nuova formazione». È ormai assodato infatti che i neuroni non diminuiscano inesorabilmente con l' avanzare dell' età, ma che nuove cellule si formano continuamente per rimpiazzare quelle che muoiono. La genesi dei nuovi neuroni viene tenuta sotto controllo appunto dal gene Bax, che ne sfronda oltre la metà. Bloccando Bax con un intervento di ingegneria genetica nei topolini, prosegue Hen, «abbiamo riscontrato un netto aumento del numero dei neuroni». A seconda del tipo di cellule considerate, l' amplificazione è stata misurata in 2-4 volte rispetto alle cavie con l' "interruttore" del gene acceso. E al momento dei test di orientamento nello spazio, i topolini col cervello "arricchito" hanno tradotto il loro bagaglio di neuroni nella capacità di riconoscere con più sicurezza le diverse stanze in cui erano stati condotti, e nelle quali avevano ricevuto una leggera scossa elettrica a una zampa. Questa capacità è considerata l' equivalente del concetto di intelligenza nei roditori. L' aumento dei neuroni nello studio della Columbia era concentrato nell' ippocampo, area del cervello legata a formazione dei ricordi e memoria spaziale. Un famoso studio inglese di 10 anni fa sui tassisti londinesi (mai riprodotto, e quindi guardato oggi con un po' di scetticismo) dimostrò che trascorrere le giornate fra stradee vicoli ha come effetto un aumento delle dimensioni dell' ippocampo. «Oltretutto- proseguonoi ricercatori- i topolini senza Bax avevano voglia di muoversi ed esplorare e mostravano molta meno ansia anche quando si trovavano in ambienti aperti, esposti ai pericoli». Accanto a questa scoperta, aggiunge Piergiorgio Strata, presidente dell' Istituto italiano di neuroscienze a Torino, «ce ne sono altre in arrivo. Riguardano la scoperta di geni che aumentano la plasticità del cervello, che portano cioè a un aumento delle connessioni fra i neuroni. Un cervello plastico è come una stazione ferroviaria con molti binari, scambi e una circolazione intensa di convogli». Altri tentativi di migliorare l' intelligenza hanno seguito la via farmacologica, attraverso l' uso - considerato rischioso - di medicine contro l' Alzheimer o per combattere la narcolessia. «Ma la strada più efficace- conclude Strata- resta l' esercizio fisico e mentale, l' abitudine a imparare a memoria e una dieta con poca carne e molto pesce». - ELENA DUSI

La fine dell' intimità nell' era di Facebook

da Repubblica.it

FACEBOOK ha distaccato di molto ogni altra novità e moda passeggera legata a Internet, e ha battuto tutti i record di crescita del numero degli utenti regolari. Altrettanto dicasi per il suo valore commerciale, che secondo Le Monde del 24 febbraio scorso ha ormai raggiunto la cifra inaudita di 50 miliardi di dollari. Mentre scrivo, il numero degli "utenti attivi" di Facebook ha doppiato la boa del mezzo miliardo: alcuni di essi, naturalmente, sono più attivi di altri, ma ogni giorno va su Facebook almeno la metà di tutti i suoi utenti attivi. La proprietà informa che l' utente medio di Facebook ha 130 amici (amici su Facebook), e gli utenti vi trascorrono complessivamente più di 700 miliardi di minuti al mese. Se questa cifra astronomica è troppo grande da digerire e assimilare, sarà bene far notare che, se divisa in parti uguali fra tutti gli utenti attivi di Facebook, corrisponderebbe a circa 48 minuti al giorno per ciascuno. In alternativa, potrebbe corrispondere a un totale di 16 milioni di persone che trascorrono su Facebook 7 giorni a settimana, 24 ore al giorno. - ZYGMUNT BAUMAN

SIAMO ALLEGORIE O ALGORITMI?

da Repubblica.it

L' allegoria, cioè la metafora prolungata, è stata fin dall' antica Alessandria un altro nome della grande poesia narrativa. Nel Seicento è stata screditata dalla Scienza Nuova, e nell' Ottocento dall' idealismo tedesco, prima di essere riabilitata da Baudelaire e dai suoi successori poetici. Perché questa battaglia moderna intorno a una figura retorica? La metafora cela un senso figurato sotto un senso proprio. L' allegoria estende questa sovrapposizione dei due sensi a un intero racconto, e non soltanto a una parola o a un' espressione. È dunque parente del proverbio, che estende a una frase unica la dissimulazione metaforica del senso, ma è parente anche dell' oracolo, del mito e della favola, che figurano, dissimulano e nascondono una verità profonda sotto un senso proprio apparentemente banale, fittizio o misterioso. Nella tradizione classica, fino al XVI secolo, la metafora e l' allegoria sono rimaste imperturbabilmente le navi ammiraglie di una flotta di tropi che schierava anche la metonimia, la sineddoche, l' ossimoro e l' ironia. Queste figure del pensiero a doppio fondo non sono viste dalla tradizione come semplici ornamenti stilistici, ma come modalità poetiche del conoscere. Velano al profano e svelano all' iniziato le verità di un mondo anch' esso a doppio fondo, sensibile e intelligibile, fisicoe metafisico, terrestre e celeste, temporale e spirituale, finito e infinito, umano e divino. È stato Aristotele il primo a teorizzare la portata cognitiva che attiene alla metafora in questo mondo a due stadi, dove lo stadio fisico, temporale e illusorio, cioè il nostro, riflette nondimeno, indirettamente e in modo fugace, il mondo metafisico, reale ed eterno, sotto forma di somiglianze, simpatie, analogie che il linguaggio metaforico e allegorico riescono a cogliere. Aristotele ha scritto: «Saper comporre metafore vuol dire saper scorgere il simile» ( Poetica ). E ha dichiarato anche: «Il talento della metafora non si può prendere a prestito» ( Retorica ). In effetti, di questi due mondi speculari, il metafisico e il fisico, il secondo, che è il nostro, attiene nel linguaggio umano a una divinazione qualitativa e una lettura figurata la cui penetrazione dipende dalla qualità dei doni specifici, del talento personale dell' indovino. Un abisso separa il comune mortale che comunica in modo univoco e il poeta, il profeta, l' oratore, essi stessi più o meno atti a metaforizzare, cioè a passare con scioltezza e accuratezza dal senso proprio al senso figurato, dal senso specifico al senso generale, dalla parte al tutto, dall' esteriore all' interiore, dalla specie al genere, dalle apparenze alle realtà. Il linguaggio allegorico ha bisogno di talento, non soltanto da parte di chi trova le buone metafore, ma anche da parte di chi è in grado di interpretarle. Questo sapere metaforico è alla misura del contesto intermedio (il nostro) dove viene esercitato. Le metafore e le allegorie descrivono e raccontano con la stessa efficacia l' intelligibile nascosto sotto il sensibile e l' impostura del sensibile che si spaccia per intelligibile. Conservando qualcosa del potere performativo dei maghi che fanno avvenire ciò che denominano, queste figure riesconoa metamorfizzare il mondo terrestre in specchio incantato del mondo celeste, ma riescono anche, all' inverso, a smascherare il carattere illusorio, comico e ingannatore di questi riflessi effimeri del cielo nello specchio di quaggiù. I poteri della parola metaforica e allegorica, quello di descrivere, celebrare, disilludere e metamorfizzare, non hanno nulla dell' impersonalità, esattezza, univocità e universalità delle leggi e dei poteri della scienza moderna. Presuppongono la collaborazione tra un inventore più o meno ispirato e un interprete più o meno iniziato. È immenso l' impero della metafora, di cui le enciclopedie medievali e le poliantee del Rinascimento cercarono di tracciare il territorio! Questo impero non è una semplice superstizione magica, retorica, poetica, come si è tentati di credere oggi nonostante Vico, è un modo di dire e di conoscere che per quanto atrofizzato rimane una postulazione repressa ma invincibile dello spirito. Non appena ha cominciatoa imporsi, nel Seicento, contro la tradizione platonico-aristotelica, la Scienza Nuova del mondo fisico ha combattuto l' apriti sesamo me taforico degli antichi saperi e poteri del linguaggio. Metafora e allegoria non sono sfuggite alla degradazione auspicata dai loro nemici. Per Aristotele, come per Platone, la geometriae la matematica sono nel loro elemento nei cristalli metafisici del mondo celeste, e sono inapplicabili al chiaroscuro del mondo terrestre, «la cui natura», dice Aristotele, «è interamente materiale». Galileo capovolge questa affermazione e fonda la Scienza Nuova sull' assioma secondo cui il mondo sensibile e fisico è tutt' uno con il mondo intelligibile e metafisico, e quest' universo tutto, cielo e terra, è scritto in linguaggio matematico. Per Galileo, l' universo si spiega con algoritmi. Non è più un' allegoria cosmica il cui senso proprio è il mondo temporale, sensibile e terrestre, e il senso figurato da decifrare è il mondo eterno, spirituale e celeste. Galileo trasferisce il linguaggio matematico della metafisica alla fisica, umiliando il cielo antico e quantificando l' antico mondo sublunare. Ormai la verità sul mondo terrestre nonè più nelle sue qualità, che i sensi esplorano a tastoni e che l' immaginazione, la memoria e il giudizio interpretano, ma nelle sue quantità che il linguaggio matematico, ricondotto dal cielo alla terra, dalla contemplazione all' analisi, è in grado di misurare con precisione astronomica per poi renderle maneggiabili e sfruttabili con meccanica efficacia. La lingua naturale deve ripulirsi dalle metafore e dalle allegorie, e imitare quanto più possibile l' univocità logica del linguaggio matematico. Peraltro, essendo un grande letterato e amante dell' arte, Galileo non auspicò mai la morte delle discipline peccatrici di metafore, vale a dire la poesia e la pittura. Ma nelle sue annotazioni a margine delle due grandi epopee italiane del Cinquecento, L' Orlando furioso e La Gerusalemme liberata, si schiera dalla parte dell' Ariosto nella diatriba fra i suoi sostenitori e quelli del Tasso. Il grande scienziato ribadirà questo partito preso in vecchiaia, in una famosa lettera a Rinuccini del 1639. Le ragioni di questa preferenza, come ha suggerito Panofsky, non sono soltanto letterarie. Galileo inaugura la grande querelle moderna che contrappone metafora e allegoria da una parte e algoritmi dagli altri. Secondo i moderni, quelle che la tradizione vuole figure del pensiero sono in realtà figure ornamentali di cui non bisogna più abusare ora che la conoscenza della verità e il potere nel mondo sensibile sono passati dalla parte della scienza fisica e delle sue tecniche applicative. Agli occhi di Galileo, le numerose metafore del Tasso non sono altro che inanità sonora, un chiacchiericcio letterario che pretende di sbalordire e che non fa altro che celare una profonda ignoranza. Al contrario, l' Ariosto, non prendendo sul serio né le imprese iperboliche dei suoi cavalieri né gli incanti dei suoi maghi e delle sue fate, ricama con una costante ironia il suo immenso arazzo allegorico. Ironistae allegorista al tempo stesso, l' Ariosto disfa di notte, come Penelope, quello che ha tessuto di giorno. Dispensato da questa ironia di credere a una qualunque verità del poema, ma abbandonandosi di buon grado e provvisoriamente all' illusione dilettevole delle sue finzioni, il lettore si lascia estasiare senza farsi abbindolare. Questo giudizio prefigura la ridistribuzione dei ruoli che si imporrà nel Settecento. L' impero della nuova scienza fisicaè divenuto enciclopedico, e la poesia non è più altro che metromania, una variante in versi della prosa francese dei Lumi, chiara e alquanto parca di metafore. L' ostracismo della metafora decretato da Boileau e l' atrofia dell' immaginazione creatrice raccomandata da Port-Royal furono tuttavia percepiti, anche in Francia, come un danno collaterale dei progressi della Scienza Nuova. Vico, a Napoli, se ne allarmò. E a maggior ragione se ne allarmarono in Germania. Nel 1750, per esplorare questa regione devastata dello spirito, Baumgarten inventò una disciplina che battezzò Aesthetica. L' Estetica, come la Critica del giudizio kantiana, pretende di sostituire la poetica e la retorica aristoteliche, troppo artigianali, con un' autentica scienza del bello. Ma la poetica e la retorica antiche disponevano, con la metafora, di uno strumento legittimo di conoscenza e azione, che era parte integrante dell' Enciclopedia scientifica del grande filosofo greco. Mentre l' estetica moderna analizza il bello come l' etnologia studia l' indiano nella sua riserva. Il bello non è più nient' altro che una reliquia commovente, ma poco seria, ai margini del vasto impero matematico della scienza e delle tecniche. La storia della poesia e delle arti, da Baudelaire in poi, è la storia di una resistenza accanita a un mondo omogeneizzato e livellato, dove il linguaggio metaforico e allegorico si è degradato e venduto alla pubblicità, e dove la comunicazione di massa regolata da algoritmi pretende di attribuire una lingua e un pensiero alla materia. (traduzione di Fabio Galimberti) - MARC FUMAROLI

QUELLE TRACCE SUL PC COME UN SUPER-IO TI RICORDANO CHI SEI

da Repubblica.it

Samuel Pepys, un alto funzionario inglese, tra il 1660 e il 1669 stenografò ogni dettaglio della propria vita, dai calcoli renali di cui soffriva alla passione per il canto e per il vino, dagli eventi macrostorici della peste di Londra a quelli microstorici delle sue turbolente relazioni con la moglie (dovuti spesso alle sue relazioni extraconiugali, parimenti registrate ricorrendo per i punti più scabrosi al latino, allo spagnolo e al francese). Rispetto al web era un dilettante. Lui annota infinitamente di più, in forma automatica e a nostra insaputa, così che ogni nostro atto in rete viene registrato, e si rimaterializza davanti a noi in modo petulante e indiscreto. O addirittura inquietante come uno spettro, visto che su Facebook può capitare di ricevere un messaggio che ci fa presente che da quindici giorni non scriviamo a un nostro caro amico, che noi sappiamo essere morto, sicché il messaggio sembra provenire dall' oltretomba, come la voce di Cesare che ossessiona Bruto a Filippi. Su tutto, come un paranoico impassibile, domina Google, lo specchio della tua vita e dei tuoi interessi fondamentali. Una volta infatti poteva capitare che qualcuno, per esempio un vecchio compagno di scuola, ci ricordasse eventi di cui eravamo stati protagonisti, e di cui avevamo perso qualsiasi memoria. Poteva anche succedere che questi fatti non collimassero minimamente con l' immagine di noi che avevamo costruito nel tempo. Bene, questa esperienza una volta sporadica, nel Web diviene la regola, giacché ci dà conto di ogni nostro atto e insieme ci fornisce la stenografia del flusso della nostra coscienza. È un esperimento a portata di mano: consultate la cronologia delle vostre ricerche su Google, lì troverete una rappresentazione del vostro pensiero molto più dettagliata di quelle che vengono promesse dalle tecniche di neuroimaging attualmente disponibili. Da quando poi Google è installato anche sui nostri smartphone, il suggerimento di non accettare caramelle dagli sconosciuti risulta sostanzialmente inattuabile, e non per mancanza di caramelle, ma di sconosciuti. Davvero non si potrebbe dimostrare meglio la sovranità degli archivi, la potenza della registrazione, delle tracce che si lasciano e che risorgono automaticamente. Tracce che un tempo erano rare e deliberate (firmare un contratto, un assegno, tenere un diario, ma sai che fatica), e che adesso accompagnano ogni nostro atto. Come valutare questa esplosione della registrazione, che costituisce il tratto fondamentale della nostra epoca senza che nessuno lo avesse previsto? Si insiste molto sul fatto che si tratta di una violazione della privacy, il che indubbiamente può essere vero, ma non è l' elemento decisivo. Piuttosto si tratta di un inconscio, di un grande registro che ci squaderna sotto gli occhi quello che siamo. E che però, diversamente dall' inconscio, non è un Es tollerante, pasticcione e incline alla rimozione. È un super-io imperioso che a volte sembra intimarci: "Tu sei questo, non puoi continuare ad agire così. Pentiti, cambia vita, è l' ultimo momento per farlo". - MAURIZIO FERRARIS

La mia biografia intrappolata nella rete

da Repubblica.it

Atradimento Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l' ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d' aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l' impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell' infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell' èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere. Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto. Ma non è detto, perché l' impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare i blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione sull' universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c' è Google. Il grado zero è l' egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell' università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l' avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso. Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all' hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c' è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l' addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l' inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l' anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l' aver attivato quella specie di panopticon volontario). Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all' ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n' è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto. Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliarei loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l' emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l' annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un' impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l' ho presentato in varie feste dell' Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l' analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un' enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all' obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico. Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l' ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c' è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l' invenzione più strepitosa e benemerita dell' ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano. - RICCARDO STAGLIANÒ

WENDELIN WERNER IO, ROMY SCHNEIDER E LE STRANE LEGGI CHE SPIEGANO IL CASO


La medaglia Fields è l' analogo del premio Nobel per la matematica. Viene assegnata ogni quattro anni, al Congresso Internazionale dei Matematici. Wendelin Werner, che oggi ha 42 anni, ha ricevuto l' ambìto premio il 22 agosto 2006a Madrid. Werner, un matematico francese di origine tedesca, ha partecipato qualche settimana fa alla Milanesiana, organizzata da Elisabetta Sgarbi. E ha stupito tutti per la sua simpatia e la sua freschezza, lontane anni luce dallo stereotipo del matematico. Uno dei motivi per cui Werner se ne discosta, è che ha recitato nel 1982 in La signora è di passaggio, con Romy Schneider e Michel Piccoli. Com' è successo, che lei sia finito a fare un film? «Oh, è molto semplice. La produzione voleva un ragazzino che suonasse il violino, e vennero a cercarlo alle prove dell' Orchestra Giovanile. Chiesero chi era interessato a recitare in un film, e tutti alzarono la mano. Meno due, tra cui io. Ma mentre stavo ritirando il violino per tornare a casa, il produttore venne e mi disse che potevo almeno fare il provino, che sarebbe stato divertente». Dire di no è una buona strategia per essere scelti, dunque? «La mia non era pretattica: io non ero veramente interessato a fare l' attore! Ma forse proprio questo mi permise di fare il provino molto rilassato, e venni scelto». Che età aveva? «Tredici anni». E come fu l' esperienza? «Interessante, ma mi resi subito conto che era una cosa da non ripetere. Ci pensai, naturalmente, perchéa quell' età si cerca di capire cosa si vorrà fare da grandi, e dopo quel film avrei potuto pensare di continuare la carriera cinematografica». Com' erano state le recensioni? «Buone, direi. Anche se la mia non era stata una vera recitazione: avevo solo dovuto interpretare me stesso, e l' unica difficoltà consisteva nel non sentire la presenza della cinepresa. Ma dopo la fine delle riprese capii che preferivo studiare matematica o fisica». Il film cambiò il suo rapporto con gli amici? «Questa è una delle cose che mi diedero più fastidio. Prima ero solo uno studente come gli altri, ma tutto d' un colpo mi ritrovai a essere una piccola star. L' intera scuola andò a vedere il film, e dopo tutti mi guardavano in modo strano. Una sensazione terribile». Non le piaceva, la notorietà? «Per niente! E a contribuire all' immunizzazione ci fu anche il trattamento che vidi riservare a Romy Schneider. Lei aveva appena perso suo figlio, e si sarebbe suicidata un paio di mesi dopo. Durante le riprese era perseguitata dai giornalisti, che cercavano di rubare una sua foto in lacrime, o di strapparle una dichiarazione. Essere molestati da paparazzi e giornalisti non era una bella prospettiva di vita». Con la medaglia Fields, però, i riflettori si sono accesi un' altra volta. «È abbastanza ironico che io abbia scelto di fare matematica per rimanere in un ambiente al riparo da queste cose, e che poi sia successo di nuovo». Forse in modo un po' diverso. «Meno ossessivo. Ma anche più tangenziale: in fondo, la matematica non interessa direttamente il pubblico, e nelle interviste si finisce a parlare d' altro». Di cinema, ad esempio. «Appunto. O anche peggio, a causa della percezione che si ha del matematico, come di un matto. Ad esempio, si va a vedere se uno non si taglia le unghie. O perché non accetta la medaglia Fields, come fece Perelman proprio quando la diedero anche a me. Naturalmente, senza mai interessarsi di cosa si è fatto per meritarla». Lei cosa ha fatto, per meritarla? «Ah, questa è l' altra faccia della medaglia! So benissimo che, se incomincio a spiegarlo, i lettori smettono di leggere. C' è una percezione molto distorta di ciò che noi matematici facciamo, e dell' impatto che abbiamo sul mondo reale. In genere ci sono due tipi di reazioni. Una è di delusione, tipo: «Tutto qui?». L' altra di rigetto, tipo: «Che cavolo sta dicendo?». Proviamoci ugualmente. «Il mio lavoro cerca di capire i sistemi apparentemente casuali, che spesso si originano nello studio della fisica. Come d' altronde la maggior parte dei problemi matematici, anche se oggi ci sono molti input che arrivano dall' economia, dalla biologia e dall' informatica». In particolare, cosa studia? «Ad esempio, le transizioni di fase. Cioè i cambiamenti repentini della struttura di un sistema, che si verificano quando si raggiunge una certa temperatura critica: tipo il congelamento dell' acqua a zero gradi, o l' evaporazione a cento. Ci sono fenomeni universali che si verificano nel momento delle transizioni di fase, e io ho lavorato su quelli che si situano sulla linea di confine tra l' analisi complessa e la teoria della probabilità». Di recente lei è tornato al cinema, però, proprio grazie alla teoria della probabilità. «Beh, non direi "tornato al cinema". Semplicemente, nel Racconto di Natale, il regista Arnaud Desplechin ha affrontato una serie di problemi di famiglia, cristallizzati simbolicamente e praticamente in una malattia genetica. E come succede in queste cose, c' era da affrontare il problema delle statistiche relative all' efficacia di terapie come i trapianti. A un certo punto, nel film appare un matematico che spiega le problematiche relative, e affronta la storia della probabilità». Che, in fondo, è nata in Francia. «Infatti volevano citare il problema di Chevalier de Méré, la corrispondenza di Pascal e Fermat, eccetera. Chiesero un aiutoa un amico, che mi porto con sé. Tutto si risolse in una mattinata di consulenza». E hanno seguito i vostri consigli? «Sí. Nel film hanno lasciato una lavagna su cui il mio amico aveva scritto delle formule, perfettamente corrette e sensate! È sorprendente, perché in genere in un film non si curano questi aspetti: è più tipico vedere un attore che suona un violino, e lo tiene in mano come uno studente che ha cominciato a studiarlo da due settimane». L' esempio nonè casuale, credo. Che ruolo ha avuto il violino nella sua vita? «Mi sono diplomato al Conservatorio. E ho continuato a suonare in un quartetto d' archi di matematici. Che è un modo per non sprecare lo studio che si è fatto». Qual è la connessione tra la musica e la matematica? «Viste dal di fuori, sono entrambe attività astratte. Dal di dentro, ci sono somiglianze strutturali, ma preferisco non enfatizzarle troppo. Sono più interessato al fatto che tra la musicae la matematica non ci siano conflitti, e si possano praticare entrambe. In fondo, non ci si può veramente concentrare su problemi matematici per più di qualche ora al giorno, e la musica aiuta a dirottare la mente altrove, in maniera stimolante». Lei trova ancora il tempo di esercitarsi? «Poco. Anche perché se uno ha dei figli, non è una bella cosa passare le poche ore libere dal lavoro chiudendosi in una stanza a suonare, invece di stare con loro». Lei sembra aver avuto tutto dalla vita: due figlie, la medaglia Fields, un film con Romy Schneider, i quartetti d' archi. Cosa le rimane da fare, nei suoi secondi quarant' anni? «Mah, sa, uno può prendere il premio Nobel, e poi traumatizzare l' intera famiglia. Per me la medaglia Fields non conta più di tanto. Naturalmente, è una bella cosa veder riconosciuto e premiato il lavoro che si fa. Ma dopo rimane da fare, come per ciascuno di noi, ciò che è veramente importante nella vita: cercare di essere brave persone, gentili con il prossimo e utili alla società». - PIERGIORGIO ODIFREDDI

ROBERT HORVITZ QUANDO LA CELLULA SPIEGA LA FILOSOFIA DELLA NOSTRA VITA

da Repubblica.it

La morte costituisce una delle tematiche preferite di letterati, teologi e filosofi, che per millenni ne hanno potuto parlare impunemente. Fino a quando, cioè, della morte nessuno sapeva niente, a parte il fatto che esiste, e chiunque poteva dunque dirne qualunque cosa. Anche in questo campo, però, la scienza sta scompaginando le carte. In particolare, nel 2002 il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a Sydney Brenner, Robert Horvitz e John Sulston «per le loro scoperte sulla regolazione genetica dello sviluppo degli organi e della morte cellulare programmata». Abbiamo chiesto a Horvitz di aiutarci a capire come queste scoperte rivoluzionino la nostra visione della morte, e ce la presentino in una maniera meno banale e più affascinante di quanto abbia saputo o potuto fare qualunque romanzo, libro sacro o manuale teoretico. Cos' ha scoperto la biologia, a proposito della morte? «Una cosa per niente intuitiva. Che il processo di formazione degli organismi, per divisioni successive a partire da un' unica cellula-uovo fertilizzata, si basa sulla morte di un gran numero di cellule. L' intero processo è diffuso e fondamentale: ad esempio, muoiono l' 85 per cento delle nostre cellule cerebrali, e il 15 per cento di quelle immunitarie. E in molti casi queste cellule muoiono prima di aver potuto fare qualunque cosa». Nascono per morire? «Letteralmente. Ma la loro morte ha un' importanza vitale: ad esempio, un topo in cui la morte cellulare viene bloccata, si sviluppa in maniera fortemente anormale e non sopravvive a lungo». La morte cellulare è un processo casuale? «Per niente. Infatti la si chiama "programmata", ed è una parte fondamentale del programma genetico dello sviluppo. E, più in generale, della vita animale». Qual è lo scopo di questa programmazione? «Bisogna stare attenti a non farsi fuorviare dalla parola: la morte cellulare è programmata per le cellule, ma non è stata programmata da nessuno! Nella Natura niente è stato programmato: tutto siè semplicemente evoluto, senza alcuno scopo». Diciamo meglio, allora: qual è il vantaggio evolutivo della morte programmata? «Il fatto che permette di "scolpire" e raffinare l' organismo in maniera sofisticata e potente, eliminando alcune cellule che sono già state generate. Quali cellule eliminare, e come, cambia a seconda dell' organismo. E l' intero meccanismo non è ancora stato completamente compreso». La morte programmata interessa solo le cellule di organismi complessi, o anche quelle individuali? «Anche quelle individuali, ma con un meccanismo diverso da quello di cui stiamo parlando. E' stato scoperto da Elizabeth Blackburn, Carol Greidere Jack Szostak, che hanno per questo ottenuto il premio Nobel per la medicina nel 2009». Come funziona? «Quando una cellula si divide, il suo Dna viene duplicato, ma non completamente. A ogni duplicazione si perde per strada qualcuno dei telomeri, che costituiscono una specie di appendice ai suoi cromosomi. E quando tutti i telomeri si sono persi, la cellula non può più duplicarsi. Dunque, tutte le cellule devono morire, e nessuna può vivere all' infinito». Prima ha parlato di "scultura" di un organismo. Può fare un esempio? «Alcune specie di uccelli hanno i piedi palmati, altre no. Questo fa una gran differenza, ad esempio per quanto riguarda l' abilità nel nuotare. E dipende appunto dalla morte cellulare programmata: se questa avviene, le dita si separano, altrimenti no. Tra l' altro, anche i bambini, nell' utero, hanno le mani e i piedi palmati. Queste cellule sono poi rimosse, a meno di un difetto genetico del programma di morte cellulare, che si traduce in due o più dita attaccate fra loro. La cosa ha poca importanza per gli umani, ma può fare la differenza tra la vita e la morte per gli uccelli». Cosa può fare la differenza, invece, per noi? «La prima malattia che viene in mente, legata a un funzionamento anomalo della morte cellulare, è il cancro. Ma il collegamento non è banale, del tipo "morte cellulare - morte dell' individuo". Al contrario, il problema è che le cellule cancerogene si dividono all' impazzata, e rifiutano di morire». La morte dell' organismo può essere causata da un eccesso di vita delle sue componenti? «Esatto. In generale, il numero di cellule in un tessuto è determinato da un equilibrio tra due processi opposti: la divisione cellulare, che aggiunge cellule, e la morte cellulare, che le sottrae. Una crescita eccessiva può dunque essere provocata da due fattori contrapposti: un eccesso di vita delle cellule, o un loro difetto di morte». L' eccesso di vita e il difetto di morte non sono, però, solo due facce di una stessa medaglia? «Lo sono, ma bisogna vedere quale dei due causa l' altro. Nel cancro ci sono esempi di entrambe le cause. Ma nella maggioranza dei tipi di cancro è presente una disfunzione o una disattivazione del programma di morte. E molte terapie, come la chemio o la radio, costringono appunto le cellule tumorali ad attivarlo: non le ammazzano, come si potrebbe pensare, ma le fanno suicidare». Quindi è il suicidio cellulare a essere benefico e necessario. «Direi, anzitutto, che beneficoe necessario è l' equilibrio tra vita e morte. Perché se è vero che nel cancro, ma anche nelle infezioni virali e nelle malattie autoimmuni, il problema è un difetto di morte cellulare, in altre malattie, quali l' Alzheimer o l' Aids, il problema è l' opposto, cioè un suo eccesso. E poi, non è che una cellula abbia solo la scelta tra vivere o suicidarsi. Le cose sono complicate, e l' attivazione o l' inibizione del meccanismo di suicidio possono essere raggiunte in vari modi. Ad esempio, una cellula può suicidarsi direttamente, perché viene attivato questo meccanismo. Oppure può suicidarsi indirettamente, perché viene inibito un altro meccanismo che inibisce il meccanismo di suicidio,e così via. Sappiamo molto di questi vari meccanismi, ma poco di come sono integrati fra loro». Cosa si deduce da tutti questi discorsi, se si paragonano le cellule individuali agli individui e l' organismo a una società? «Una volta l' Università di Berna mi ha dato un premio. Nel comitato per l' assegnazione c' era un teologo, che mi disse di essere rimasto molto colpito dal fatto che il suicidio giocasse un ruolo così grande nella biologia. L' idea che la morte di una parte fosse non solo la manifestazione di un processo naturale, ma anche qualcosa di utile per l' intero organismo, l' aveva costretto a rivedere il suo pensiero teologico». Ma lei, cosa pensa al proposito? « Io sono un biologo, e il mio compito è di scoprire i fatti. Preferisco lasciare ai teologi e ai filosofi il compito di tirare le conclusioni che ne derivano: non ho una religione personale, che mi spinga a generalizzare dalla biologia alla sociologia». - PIERGIORGIO ODIFREDDI

L' INTELLETTUALE? È DIVENTATO INORGANICO

Umberto Eco, nel suo Alfabeto per intellettuali disorganici che apriva Alfabeta2 (e che è uscito su la Repubblica dell' 8 luglio) sostiene che "intellettuale" è chi svolge una attività non manuale accompagnata da ragione critica. Certo, ma vorrei sottolineare che questa attività si esercita necessariamente in pubblico e per iscritto, o con qualche altra forma di registrazione, cioè comporta l' uso di documenti. Se Zola non avesse avuto un giornale su cui pubblicare il J' accuse, e un editore che stampasse i suoi romanzi, non sarebbe stato un intellettuale. Gli intellettuali dell' Ottocento, quelli che costituiscono l' emblema della categoria, erano anzitutto scrittori.A loro volta, erano gli eredi di chierici e di scribi, di mandarini e di notai. Per essere intellettuali non basta essere intelligenti: nessuno direbbe che un campione di scacchi è un intellettuale (e in più casi si può essere intellettuali senza essere intelligenti). E non basta nemmeno coltivare in privato un pensiero critico: bisogna esprimerlo, altrimenti resta nella sfera della coscienza, non in quella della opinione pubblica, come sapeva bene Federico il Grande, illuminato quanto si vuole, ma tiranno, che ai suoi sudditi diceva "Pensate come volete, ma ubbidite!". Ecco perché per essere intellettuali è necessario produrre documenti, ossia con testi che riguardano almeno due persone, un autore e un lettore. Se cambiano i documenti e i loro luoghi di produzione (stampa, televisione, web) cambia l' intellettuale. L' evoluzione è pressappoco la seguente: l' intellettuale nasce organico, in un convento, in una scuola, e comunque in una società di cui condivide ritie miti. Diventa disorganico (ha la possibilità di farlo) solo a un certo punto, con un determinato sviluppo dei sistemi di scrittura e diffusione, cioè dei media. Ora, che cosa accade nel momento in cui - come è avvenuto negli ultimi trent' anni - si assiste a una esplosione della scrittura, dei documenti e dei sistemi di registrazione in generale (di ciò che propongo di chiamare "documentalità"),e in cui l' estensione ". doc" invade ogni angolo della nostra vita? La mia ipotesi è che si faccia avanti un intellettuale inorganico, non nel senso che sia l' espressione di una "intelligenza collettiva" e disincarnata come quella profetizzata all' apparire del web. E neanche perché sia il frutto di quella "società della conoscenza" di cui tanto si è parlato, ma che è poco più che una figura retorica. Ma perché sorge almeno in parte al di fuori dei tradizionali organismi di formazione e di legittimazione della funzione intellettuale che sono stati l' università, i giornali e le case editrici. Il suo habitat è quella specie di biblioteca di Babele che è il web, ed è a quel luogo che fa essenzialmente riferimento. La rete è sia la fonte da cui trae alimento sia il destinatario a cui si indirizza, e in cui i commenti al blog e il numero dei contatti prendono il posto di ciò che nella tradizione moderna si chiamava "opinione pubblica", e di ciò che nel postmoderno sono diventati i sondaggi, le classifiche e l' auditel. L' intellettuale inorganico ha tre caratteristiche principali. La primaè che si tratta di un intellettuale sans papier, sia nel senso che non scrive più, essenzialmente, su carta, sia nel senso in cui non riceve più dalla carta il riconoscimento del proprio status. Julian Assange, che ha diffuso sul web i documenti segreti sull' Afghanistan, si presenta agli occhi del mondo dietro al suo Apple, proprio come Paul Valéry si faceva fotografare dietro al tavolo ingombro di carte. Non è solo questione di forme: l' esplosione della documentalità trasforma radicalmente il mondo intellettuale, che non è più strettamente localizzato né è strettamente urbano, e soprattutto è molto più esteso che in precedenza. Certo, ancora per parecchio tempo continueranno a coesistere, magari nella stessa persona, i due mondi, quello dell' intellettuale cartaceo e quello dell' intellettuale sans papier, esattamente come giornalie libri hanno continuato a convivere con la televisione, ma questo non tocca la sostanza della trasformazione. La seconda caratteristica dell' intellettuale inorganico riguarda una diversa maniera del far testo, dell' essere autorevoli e autoriali. Molto concretamente, ci si potrà domandare che cosa "faccia testo" veramente, tra un blog molto seguito e un libro stampato per scopi concorsuali e che nessuno (forse nemmeno i commissari del concorso) ha letto, fatta salva, beninteso, la circostanza che tanto il blog quanto il libro possono essere completamente stupidi o perfettamente geniali. I dibattiti, di cui non si può sottostimare l' importanza, sull' autorevolezza di Wikipedia, sull' attendibilità delle fonti web, sull' avvenire dell' università sono intimamente collegati alla trasformazione del "far testo" comportata dalla evoluzione della documentalità. La terza è che l' intellettuale inorganico ha a che fare con una trasformazione radicale, e relativamente imprevista, dei rapporti tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Scrivere, non dimentichiamolo, è sempre stato un lavoro manuale. Ma nel web non c' è più la stenografa, il tipografo, la tipografia, che nel blog si riassumono tutti nella figura del blogger, un po' come adesso la persona che fa il check-in è anche quella che strappa i biglietti all' imbarco - biglietti che peraltro ci siamo stampati da soli. Si abbatte la differenza tra il letterato e il "vile meccanico", e - per venire all' altro lato di ciò che i Greci chiamavano techne, ossia l' arte - oggi l' artista usa il più delle volte lo stesso strumento espressivo dell' intellettuale, il computer. La morale è molto semplice. Non ci sono più gli intellettuali di una volta, e forse se tornassero non li riprenderemmo: oggi Cinecittà non rivorrebbe Fellini (troppo costoso e bizzoso), il Corriere della sera non riprenderebbe Montale (troppo salomonico, e poi incline a farsi scrivere gli articoli da altri), e Cambridge licenzierebbe Wittgenstein (poco assiduo a lezione e sgarbato con gli allievi: inoltre pubblicava poco e non correggeva le bozze). Ma gli intellettuali non moriranno, perché per farli morire sarebbe necessario un mondo senza scrittura e registrazioni come quello, puramente radiofonico e televisivo, di cui fantasticava McLuhan nel secolo scorso. Ma un mondo del genere non può darsi, per il banale motivo che non ci può essere una società senza memoria, cioè senza burocrati, che possono diventare intellettuali, come è successo al notaio Jacopo da Lentini, o a Kafka nelle assicurazioni di Boemia e Moravia, e come alla fine succede persino a Bouvard e Pécuchet, quando si fa strada nella loro mente la percezione della stupidità umana. - MAURIZIO FERRARIS

La scienza spiega la madeleine di Proust

NON tutte le madeleine hanno lo stesso effetto sul cervello. Quelle che sanno semplicemente di limone vengono memorizzate all' interno di un' area che si occupa degli stimoli sensoriali. Ma il dolce che scatenò in Proust una cascata di ricordi dell' infanzia attivò nello scrittore una serie di circuiti cerebrali che solo ora sono stati messi in luce, graziea uno studio italiano pubblicato su Science. La prima conclusione dei ricercatori dell' università di Torino è che mai più Proust potrà assaggiare una madeleine senza rivivere le memorie del passato: lo stimolo sensoriale (il sapore del dolce) e l' emozione di cui si è tinto (la nostalgia dell' infanzia) sono diventati per il cervello un elemento unico, inscindibile. A questa chimera il nostro organo del pensiero dedica un' area speciale della memoria, nobile ed evoluta, che si chiama corteccia sensoriale secondaria. Le sue dimensioni e la sua diversificazione sono una delle caratteristiche che distinguono la nostra specie dagli altri animali. Edè proprio graziea quest' area che riusciamo ad apprezzare una melodia assai più delle singole note messe in sequenza. Percepire queste ultime è compito infatti della meno evoluta corteccia sensoriale primaria. Per semplificare i loro esperimenti, i ricercatori Benedetto Sacchetti e Tiziana Sacco hanno deciso di studiare i topolini da laboratorio, ma la loro sfida successiva sarà ripetere le stesse ricerche anche sull' uomo. Gustare un sapore evocativo dell' infanzia, toccare un tessuto ruvido di cui era fatto un abito cui siamo affezionati, ascoltare una musica associata a una persona cara, riannusare il suo profumo o farsi catturare da una foto ingiallita sono tutte percezioni sensoriali che attivano il "percorso speciale" appena scoperto dai due ricercatori torinesi. All' interno della corteccia sensoriale secondaria,i ricordi si collocano in tanti "cassetti" diversi a seconda di quale dei cinque sensi ha convogliato la sensazione. Per tutti, comunque, vale l' assioma che uno stimolo sensoriale legato a un' emozione si fissa nella memoria in maniera assai più solida rispetto a uno stimolo neutro. La scoperta di Sacchetti e Sacco capovolge un' ipotesi tradizionale, secondo cui le percezioni sensoriali tinte di emozione sono conservate all' interno dell' amigdala, l' area profonda e antica del nostro organo del pensiero che gestisce paura, gioia, doloree tutti gli altri stati d' animo che alterano il battito del cuore. Ora si è visto che tra la componente sensoriale di una memoria e quella emotiva, la prima gioca un ruolo assai più importante di quanto si credesse in passato. Questo potrebbe spiegare come mai una madeleine è capace di rievocare la nostalgia dell' infanzia perduta, ma non avvenga mai il contrario. Capire Proust attraverso le neuroscienze è stato impossibile fino a ieri proprio perché si pensava che la spiegazione si annidasse nell' amigdala. Ma studiare quest' area del cervello a forma di mandorla è difficile, perché gli esperimenti altererebbero le emozioni (e quindi la personalità) di uomini o animali coinvolti. Sacchettie Sacco hanno invece condizionato dei topolini ad avere paura di alcuni stimoli sensoriali (suoni, lampi di luce, zaffate di aceto) associandoli a una piccola scossa elettrica. Poi hanno distrutto un gruppo di neuroni nella corteccia sensoriale secondaria e hanno osservato che, come conseguenza, nei roditori era scomparsa la paura di quegli stimoli. Segno che proprio quella intaccata era l' area responsabile del deposito dei ricordi-chimera. Per le loro ricerche, i neuroscienziati torinesi hanno sfruttato tecniche di osservazione del cervello molto dettagliate, capaci di mettere in luce l' attivazione anche di singoli neuroni.E la scoperta che il cervello riservi a un dolcetto come la madeleine un cassetto speciale nell' armadio dei suoi ricordi preziosi conferma quale ruolo importante giochino le emozioni per l' evoluzione degli esseri viventi.  - ELENA DUSI