Cerca nel blog

mercoledì 16 maggio 2012

"I virus caricheranno la batteria" Prodotta elettricità in laboratorio

dal sito: www.repubblica.it

LA SCOPERTA

I ricercatori di Berkeley, in California, hanno creato piccoli generatori di energia che sfruttano le proprietà piezoelettriche di questi microrganismi. Ecco come ci sono riusciti

DOPO l'energia solare ed eolica, a breve ci sarà quella a virus. Che potremmo produrre semplicemente camminando, per esempio. È quanto sostengono gli scienziati del dipartimento del Lawrence Berkeley national laboratory, in California, negli Stati Uniti. Hanno scoperto che tra le proprietà di un batteriofago (un virus killer dei batteri), c'è quella di convertire l'energia meccanica in elettrica. Una scoperta che apre la strada (ancora lunga) a svariate applicazioni: un giorno non lontano potremmo caricare la batteria dei nostri smarthphone con questo sistema.

Il test. Gli studiosi hanno creato un piccolo dispositivo - sottile come la carta - rivestito da virus ingegnerizzati. Con la forza del tocco di un elettrodo del generatore, i ricercatori hanno scoperto che i microrganismi in questione producono corrente sufficiente per accendere un piccolo display a cristalli liquidi. Questi batteriofagi hanno la caratteristica di essere innocui per la salute dell'uomo ma soprattutto di sfruttare la piezoelettricità ovvero le sollecitazioni meccaniche a cui, con la semplice pressione di un dito di una mano, possono essere sottoposti.

La scoperta. Lo studio è già online e si trova sulla rivista Nature Nanotechnology. "Questo è soltanto il primo passo verso i dispositivi basati sull'elettronica virale. Tuttavia abbiamo bisogno ancora di tempo per approfondire meglio le nostre ricerche", spiega Seung-Wuk Lee, professore del Berkeley lab. "Visti i risultati positivi, molto presto, con questi virus, costruiremo dispositivi molto piccoli capaci di utilizzare e trasformare l'energia prodotta da altre attività quotidiane, come la chiusura di una porta o il fatto di salire le scale, per ottenere energia elettrica".
(13 maggio 2012)

lunedì 14 maggio 2012

C'è un'altra vita nell'universo? Questione di bit

dal sito: www.lescienze.it

Un studio delinea le caratteristiche che dovrebbe avere una forma di vita extraterrestre perché noi possiamo riconoscerla in quanto tale. Potrebbe avere origine da altre forme biologiche - in grado di autoriprodursi e trasmettere bit d'informazione alla progenie - oppure scaturire da una chimica diversa. In entrambi i casi, le probabilità di scoperta sono limitate dalla conoscenza di un'unica forma di vita: la nostra (red)

Che cosa s'intende realmente quando si parla di “vita nell'universo”? E quale probabilità abbiamo di scoprirne nuove forme? Sono questi gli interrogativi alla base di un articolo apparso sulla rivista “PLoS Biology” a firma di Gerald Joyce, dello Scripps Research Institute di La Jolla in California.

Grazie ai progressi delle tecniche di osservazione astronomica, negli ultimi anni si sono moltiplicate le scoperte di pianeti extrasolari, alcuni dei quali sono stati classificati come orbitanti in “zone di abitabilità”, cioè a una distanza dalla loro stella che rende le temperature favorevoli allo sviluppo della vita, o come pianeti “di tipo terrestre”, in cui le condizioni sarebbero ancora più simili a quelle del nostro pianeta. Questo ha portato molti, tra gli scienziati come nel grande pubblico, a ritenere più vicina la scoperta di forme biologiche aliene, o almeno più concreta la possibilità di verificare in modo sperimentale alcune ipotesi.


C'è un'altra vita nell'universo? Questione di bit
© Stocktrek Images/Corbis
Ma quante sono le reali probabilità che un pianeta roccioso dal clima temperato generi forme viventi? “La vita si autoriproduce, trasmette informazione ereditabile alla progenie e segue le leggi dell'evoluzione darwiniana basata sulla selezione naturale”, scrive Joyce, elencando le caratteristiche fondamentali della vita come la conosciamo.

Se però si vuole uscire da questo schema per concepire la possibilità di forme alternative, occorre approdare a un concetto più astratto, considerando la trasmissione tra le generazioni di bit d’informazione ereditabile e l’origine di questo processo.

Secondo Joyce, una nuova forma vivente può emergere in due modi: da una già esistente oppure da una chimica di base. In questo secondo caso, una forma di vita si autorganizzerebbe in un “sistema in grado di generare bit”, così come è avvenuto sulla Terra, in cui da una zuppa primordiale di composti chimici in un ambiente acquoso si formarono molecole autoreplicanti che poi mutarono ed evolsero.

A questo punto, si pone un’altra domanda: qual è il numero minimo di bit necessari per dare origine all’ereditabilità e alla possibilità di accrescere il pool di bit disponibili? Dipende dalla natura del sistema che evolve e dall’ambiente in cui è inserito.

Per verificare sperimentalmente queste ipotesi, il laboratorio di Joyce recentemente ha realizzato e descritto un sistema chimico non biologico che evolve secondo le leggi darwiniane in modo autosostenuto (ovvero: tutti i bit d’informazione necessari all’evoluzione sono parte del sistema che evolve).

C'è un'altra vita nell'universo? Questione di bit
© Pulse/Corbis
Si tratta di coppie di enzimi a RNA, in cui ogni membro di una coppia sintetizza la sintesi dell’altro legando tra loro coppie di substrati oligonucleotidici: poiché ciascuno di questi elementi può adottare migliaia di diverse composizioni potenziali, il loro legame può dare vita a milioni di combinazioni differenti. A loro volta, queste combinazioni possono autoreplicarsi e trasmettere informazioni alla propria progenie. Le varianti che si replicano in modo più efficiente dominano la popolazione finché non nascono nuove e più vantaggiose varianti che soppiantano i predecessori in una battaglia darwiniana senza fine per la sopravvivenza.

La popolazione di enzimi a RNA costituisce un sistema genetico di sintesi ma non è una nuova forma di vita, sottolinea Joyce: essa infatti evolve sulla base di 84 bit totali solo un quarto circa dei quali rappresenta la sua “memoria molecolare” mentre i bit restanti – la maggioranza – sono presi a prestito. Potrebbe essere quindi questo rapporto a definire la “vera” vita: un rapporto almeno 50-50 tra i bit ereditabili e quelli richiesti per una piena funzionalità del sistema.

"Io penso che gli esseri umani si sentano soli, e desiderino altre forme viventi nell'universo," conclude Joyce, "ma il desiderio non basta. Forse la prima vera alternativa alla biologia terrestre sarà scoperta in un pianeta extraterrestre o in una roccia marziana. Più probabilmente, sarà il prodotto di una specie intelligente che ha scoperto i principi dell'evoluzione darwiniana e imparato a progettare sistemi chimici capaci di generare autonomamente bit". Una specie, insomma, come la specie umana.

La prima foglia artificiale a basso costo

dal sito: lescienze.it
 

Il dispositivo, imitando in parte il processo di fotosintesi, consente di produrre idrogeno senza ricorrere a catalizzatori rari e costosi come il platino, ma con composti di nichel, molibdeno e zinco (red)

La ricerca di dispositivi che imitino in modo efficiente il processo di fotosintesi, progettando "foglie" artificiali che usano la radiazione solare per scindere le molecole di acqua, producendo idrogeno da usare per combustibili e riscaldamento, ha una storia lunga un secolo.

Ne parlò per primo il chimico italiano Giacomo Luigi Ciamician, che in un articolo del 1912 espose il problema  di “fissare l'energia solare attraverso opportune reazioni fotochimiche con nuovi composti che controllino i processi fotochimici che finora sono stati il segreto custodito delle piante”.

Ed è proprio dalle osservazioni di Ciamician che è partito per le sue ricerche Daniel G. Nocera, docente di chimica al Massachusetts Institute of Technology, da anni impegnato in questo genere di studi, il quale pubblica adesso sulla rivista ACS Chemical Research la descrizione dettagliata dello sviluppo della prima foglia artificiale dotata, a suo avviso, di un possibile interesse pratico.

Dispositivi in grado di realizzare una fotosintesi artificiale sono infatti già stati realizzati, ma la loro fabbricazione richiede il ricorso a catalizzatori a base di platino e altri ossidi di metalli nobili e a processi di produzione che ne rendono i costi proibitivi.

Nocera è riuscito a realizzare un collettore solare a sandwich costituito da due film che generano ossigeno e gas idrogeno. Nel primo, il catalizzatore di platino che produce gas idrogeno - che può essere convogliato in celle a combustibile per generare elettricità - è sostituito da un composto molto meno costoso di nichel-molibdeno-zinco. Sull'altro lato della “foglia” è invece una pellicola di cobalto a permettere la liberazione dell’ossigeno.

L’autore osserva che tutti i materiali impiegati nel nuovo progetto sono molto più abbondanti ed economici dei precedenti, e conclude: “Costruendo un semplice dispositivo indipendente composto di materiali abbondanti sulla Terra, la foglia artificiale fornisce un mezzo per realizzare un sistema di trasformazione da solare a carburante economico e altamente distribuito, che impiega sistemi ingegneristici e di fabbricazione a basso costo. Attraverso questo tipo di sistema, l’energia solare può diventare una fonte di energia vitale per i paesi più poveri.”

Copyright, la grande minaccia del Tppa "Saremo costretti a pagare due volte"

dal sito: www.repubblica.it

PROPRIETÀ INTELLETTUALE

L'allarme delle associazioni per la libertà della Rete: il nuovo accordo commerciale in discussione a Dallas minaccia i diritti degli utenti. Secondo gli osservatori rischia di essere peggiore dell'Acta perché, tra le altre cose, prevede l'allungamento della durata temporale del copyright fino a 120 anni  

di ARTURO DI CORINTO

QUESTA settimana a Dallas le rappresentanze di diversi paesi stanno negoziando nuove regole per Internet, comprese alcune norme sulla proprietà intellettuale che potrebbero soffocare la libertà d'informazione online. L'accordo commerciale Asia-Pacifico - Tppa, Trans-Pacific Partnership Agreement, questo è il trattato in via di definizione (la bozza in pdf 1) - potrebbe infatti rivelarsi peggiore dell'Acta 2, creando nuovi standard per l'applicazione di brevetti e copyright.

INTERATTIVO SOPA, PIPA, ACTA: Le proposte di leggi anti pirateria 3

Il Tppa è infatti un accordo di libero commercio che ha l'obiettivo di rimuovere 'ostacoli' commerciali come le tariffe doganali e le quote d'importazione per facilitare commercio ed investimenti nella regione Asia-Pacifico. Ma contiene alcune norme pericolose per la Rete, intesa come piattaforma commerciale per la produzione e la vendita di beni, merci e servizi.

Secondo alcuni osservatori 4, tra cui la Electronic Frontier Foundation, il Tppa somiglia all'accordo anticontraffazione (Acta - Anti Counterfeiting Trade Agreement) e alla proposta di legge nota come Sopa (Stop Online Piracy Act), visto che nel capitolo sulla proprietà intellettuale ne ricalca le raccomandazioni.

Dai documenti riservati trapelati mesi addietro, il trattato considera violazione del copyright anche le riproduzioni temporanee a dispetto delle regole stabilite dalla Wipo; vieta l'importazione di merci senza l'autorizzazione dei titolari del copyright e allunga la vita del copyright stesso oltre gli accordi Trips (Agreement on Trade-Related Aspects of IP). In particolare, questa estensione riguarda, per tutti i paesi firmatari, la regola dei settanta anni di tutela dopo la morte dell'autore nel caso di opere individuali, 95 anni dopo la pubblicazione e 120 anni per le opere creative di proprietà aziendale (tipo Mickey Mouse). 

In aggiunta a questo, il Tppa impone una norma che impedisce di aggirare le misure tecniche di protezione (le famigerate Tpm) e tratta il loro aggiramento come un reato separato, anche in assenza di violazione del copyright, facendo di fatto carta straccia delle leggi più avanzate al riguardo, come quella neozelandese e quella australiana (del 2007) relativa alle misure di protezione dei codici regionali dei dvd, dei videogame, dei lettori e del software incorporato in dispositivi che restringono l'accesso a beni e servizi.

All'accordo, già firmato da Singapore, Cile, Nuova Zelanda, Brunei, Australia, Peru e Vietnam sono interessati ,oltre agli Stati Uniti che l'hanno proposto, anche Malesia, Peru e Vietnam, un insieme di paesi che rappresentano il 40 per cento del commercio mondiale, e un volume di scambi destinato ad aumentare con la probabile aggiunta di Giappone, Messico e Canada.

Il presidente del Partito Pirata australiano David Campbell, a un incontro sul Tppa a Melbourne, ha sostenuto che le norme del trattato relative al copyright potrebbero impedire a un utente di usare come gli pare i media che preferisce: "Se si acquista un nuovo iPod, non sarà più possibile accedere alla collezione di musica preesistente col nuovo dispositivo ma si dovrà pagarne la licenza una seconda volta". In base al Tppa una compagnia straniera potrebbe ottenere informazioni personali dagli provider internet locali semplicemente accusando un loro cliente di attività illegale.

Secondo l'associazione no-profit Public Knowledge, che si è rivolta al governo americano scrivendo una lettera aperta 5, "un accordo commerciale del ventunesimo secolo deve riflettere i diritti e gli interessi di tutti coloro le cui attività siano influenzate dal copyright", poiché coinvolge non solo produttori e distributori di contenuti ma anche tutte le aziende tecnologiche i cui prodotti sono usati per copiare, immagazzinare, accedere, usare, riutilizzare le opere sotto copyright.

Una protezione eccessiva indebolirebbe la capacità commerciale di tali compagnie altrimenti corresponsabili di violare una legge che, limitando la capacità di reinterpretare l'uso di tecnologie e contenuti da parte dei singoli utenti, crea grave danno alla libertà e alla capacità di innovare. Producendo quindi un saldo negativo sulle dinamiche commerciali degli stessi paesi firmatari.

Venerdì prossimo si chiuderà a Dallas il dodicesimo round negoziale condotto dal rappresentante americano 6 per il commercio. Obama ha chiesto che l'accordo venga chiuso entro la fine dell'anno.
(14 maggio 2012)

Il sole si muove più lento nello spazio interstellare

dal sito: www.repubblica.it

LA SCOPERTA

Lo indicano i dati della Nasa, che invia informazioni delle interazioni di particelle che avvengono ai confini del nostro sistema solare. Secondo gli scienziati, va anche in una direzione diversa da quanto non si pensasse

Nello spazio interstellare, il sole si muove più lentamente rispetto a quanto si pensava finora e sembra avere anche un'interazione più debole con il resto della nostra galassia: lo sostiene uno studio della Nasa pubblicato su Science.

Il nostro sistema solare si muove attraverso lo spazio e in questo suo viaggio porta al suo interno una 'bolla' di vento solare e campo magnetico denominato eliosfera. La frontiera dell'eliosfera, luogo in cui il vento solare interagisce con il resto della galassia, segna anche il confine del sistema solare. Gli scienziati che esaminano i dati provenienti dall'Interstellar Boundary Explorer della Nasa, un piccolo veicolo spaziale che invia dati e immagini delle remote interazioni di particelle che avvengono ai confini del nostro sistema solare, hanno confermato che il moto relativo del sole rispetto allo spazio interstellare sta avvenendo effettivamente più lentamente e in una direzione diversa da quanto si pensava.

A questa velocità minore, l'interazione del sole con l'eliosfera è più debole rispetto a quella che gli scienziati ipotizzavano si verificasse in passato. Un fenomeno evidenziato anche dal cosiddetto "bow shock", un'onda d'urto che si forma quando il materiale interstellare rallenta bruscamente prima di incontrarsi con l'eliosfera, in modo del tutto simile

Raggi X per il marchingegno che sapeva spiegare il cosmo

dal sito: www.repubblica.it

ARCHEOLOGIA

Una nuova tecnologia di esame permette di guardare dentro La "Macchina di Anticitera", il reperto di epoca ellenistica rinvenuto nel 1900 al largo di Cerigotto. Una macchina di precisione in grado di calcolare il movimento degli astri, eclissi e lunazioni. Un dispositivo avanti di mille anni rispetto ad ogni altro ritrovamento, e che anima il dibattito scientifico

UN MISTERO lungo duemila anni sta per ricevere un po' di luce grazie alle tecnologie moderne. L'isola di Anticitera, o meglio le coste, l'hanno custodito per secoli, fino al 1900. L'anno del ritrovamento di quella che viene chiamata la "macchina di Anticitera" da parte di un gruppo di pescatori di spugne, assieme a statue e manufatti risalenti a epoche antiche custodite in un relitto di una nave, affondata al largo di Cerigotto (a Anticitera), isola greda al largo di Creta. Qualcuno la ritiene un'eredità degli studi di Archimede di Siracusa, inventore. La macchina di Anticitera potrebbe essere un progetto laterale del suo famoso planetario.

La macchina di Anticitera. Un complesso innesto di 27 ingranaggi ricoperti da iscrizioni quasi completamente decifrate, la macchina di Anticitera è datata agli anni 100-150 avanti Cristo ed è custodita al museo nazionale ad Atene, dove c'è anche una ricostruzione funzionante.

La macchina è un meccanismo originariamente contenuto in un involucro di legno, dalle misure di 30x15 centimetri che per molto tempo la scienza non è riuscita a catalogare. A metà del secolo scorso grazie ai raggi X, si iniziò a intuirne il funzionamento: la macchina era uno strumento di altissima precisione, studiata nel dettaglio per misurare i movimenti di sole e luna, le eclissi, i loro rapporti di moto e addirittura le lunazioni. E come se non bastasse, la macchina serviva probabilmente anche a definire il calendario delle Olimpiadi.

Ma solo oggi, grazie a una nuova tecnologia di esame radiografico basata su delle sonde a raggi x appositamente inviate ad Atene, i ricercatori hanno potuto vedere davvero cosa c'è nel blocco di roccia che contiene la macchina originale. E i primi risultati vengono definiti "sbalorditivi" per il livello di precisione assoluta con cui il dispositivo può misurare le meccaniche celesti.

Precisione incredibile.
Il mistero della macchina è tutto in questa sua precisione fuori dall'ordinario. E' infatti costruita con materiali comuni per il tempo e le misurazioni sono limitate ai pianeti visibili dalla terra senza ausilio di strumenti particolari. Ma il livello di dettaglio rimane stupefacente: è confermata la capacità del dispositivo di calcolare persino i ritardi nei movimenti lunari, per via dell'orbita ellittica, con un opportuna progettazione e un ingranaggio dedicato. Nelle iscrizioni sulla macchina ci sono i nomi di Venere e Mercurio, ma ci sono studiosi che sostengono che la macchina di Anticitera possa in realtà rivelare informazioni anche su altri pianeti. La macchina viene definita dalla scienza come tecnicamente molto più complessa di ogni altro dispositivo ipotizzabile e rinvenuto per almeno mille anni successivi alla sua datazione. E un tale livello di complessità può significare che chi l'ha costruita fosse aduso a questo tipo di lavoro: non sarebbe quindi un esemplare unico, ma qualcosa che inevitabilmente viene da una storia lunga. La stessa su cui i nuovi studi tenteranno di fare luce.
(12 maggio 2012)

venerdì 11 maggio 2012

E' frutto dell'entropia la passione delle molecole biologiche per la sinistra

dal sito: www.lescienze.it


Ogni molecola biologicamente attiva in teoria può avere due forme che sono una l'immagine speculare dell'altra. In realtà però in natura si osserva solo la forma sinistrorsa, o levogira. La causa di questa preferenza - nota come chiralità - è tuttora enigmatica, ma un primo passo verso la soluzione viene ora da un esperimento su un sistema non biologico, secondo il quale la chiralità sarebbe un effetto spontaneo di processi entropici (red)

Quasi tutte le molecole si possono presentare in due forme distinte, l’una immagine speculare dell’altra, come la mano destra e quella sinistra. Ciò significa che non possono essere sovrapposte o, come si dice in gergo tecnico, presentano una chiralità sinistrorsa (o levogira) o destrorsa (o destrogira). Un fatto singolare che ha sempre affascinato i biologi e non ha mai trovato spiegazione, è che tutte le molecole biologicamente attive, e fra queste le proteine, di quasi tutti gli organismi mostrano una chiralità levogira.

Un primo passo verso la soluzione di questo enigma viene ora da una ricerca condotta da Thomas G. Mason, docente di chimica e di fisica all’Università della California a Los Angeles, che in un articolo pubblicato su “Nature Communications” mostra come, in particolari condizioni, le strutture chirali emergano spontaneamente per effetti di processi entropici, come, per esempio, il moto browniano.

E' frutto dell'entropia la passione delle molecole biologiche per la sinistra
Quasi tutte le molecole biologicamente attive hanno chiralità levogira, e ruotano verso sinistra - cioè in senso antiorario - il piano di una luce polarizzata (© 3d4Medical.com/Corbis)
Mason e collaboratori sono partiti dalla seguente domanda: “E’ possibile che questa preferenza biologica di una chiralità particolare abbia un'origine fisica?". Hanno quindi cercato di scoprire se la chiralità potesse manifestarsi anche in sistemi non biologici che partissero da una condizione in cui fosse assente qualsiasi elemento di chiralità.

La loro scelta è caduta su un sistema molto elementare, composto da triangoli equilateri: "Oggetti come le nostre mani – spiega Masoin - sono chirali, mentre oggetti come i triangoli equilateri sono achirali, possono cioè essere facilmente sovrapposti uno all'altro.”

Grazie a una tecnica litografica hanno realizzato milioni di microparticelle a forma di triangoli achirali, e hanno poi studiato al microscopio elettronico sistemi molto densi di queste particelle litografiche triangolari disperse in un mezzo acquoso. Con loro stessa sorpresa, hanno scoperto che nel tempo i triangoli achirali si disponevano spontaneamente in modo da formare due "super-strutture" triangolari, ciascuna delle quali presentava una particolare chiralità.

"E’ abbastanza bizzarro", ha ammesso Mason. "Se si parte da componenti achirali, i triangoli sottoposti a moto browniano, si finisce con la formazione spontanea di superstrutture dotate di chiralità. Personalmente non avrei previsto che sarebbe successo prima di un milione di anni."

In questo caso, quando le particelle triangolari sono diffuse e interagiscono in condizioni di densità molto elevata su una superficie piana, ciascuna particella può massimizzare il proprio "spazio di manovra" trovando un ordine parziale come cristallo liquido (una fase di materia intermedia fra quella liquida e quella solida) fatto di super-strutture chirali di triangoli.

"Abbiamo scoperto che due soli ingredienti fisici, entropia e forma delle particelle, sono sufficienti a causare l’apparizione spontanea della chiralità nei sistemi densi", conclude Mason.

giovedì 10 maggio 2012

Il controllo inconscio delle emozioni sui processi mentali superiori

dal sito: www.lescienze.it

 
Dimostrato sperimentalmente per la prima volta un meccanismo cerebrale inconscio che interferisce con i processi mentali di alto livello per ridurre al minimo l'impatto negativo di un contenuto emotivo potenzialmente pericoloso. Potrebbe trattarsi di un processo analogo al meccanismo di repressione teorizzato da Freud. La scoperta è stata fatta osservando in persone bilingui le aree cerebrali attivate da parole della seconda lingua di diverso valore emotivo emotiva: per quelle molto negative, e solo per esse, viene bloccato l'accesso ai circuiti della lingua madre  

(red)

Per la prima volta è stata osservata a livello neurofisiologico l’esistenza di un meccanismo psichico di repressione che riguarda le attività cerebrali superiori. La scoperta è emersa da una ricerca condotta presso la Bangor University ed è illustrata in un articolo pubblicato sul “Journal of Neuroscience”.

Che il nostro cervello sia in grado di elaborare informazioni senza che nulla di questo processo affiori alla coscienza è ben noto alle neuroscienze, ma finora si riteneva che il fenomeno riguardasse informazioni di “basso”livello, facendo sostanzialmente da filtro nei confronti di quelle meno rilevanti che avrebbero costituito un rumore di fondo di ostacolo al lavoro delle aree cerebrali superiori.

Molti studi precedenti avevano dimostrato che lo stato emotivo è in grado di interferire con le funzioni cerebrali di base come l’attenzione, la memoria, il controllo motorio e della visione, ma non era mai stato dimostrato che la stessa azione venisse esercitata sulle funzioni superiori di elaborazione linguistica e sulla comprensione delle parole.

La conclusione è stata tratta sulla base di alcuni esperimenti condotti su persone bilingui. Nel corso dei loro studi, condotti anche con l'ausilio di tecniche di neuroimaging, i ricercatori avevano scoperto che, per quanto fluida sia la padronanza di una seconda lingua, quando  leggono un testo le persone bilingui  accedono comunque inconsciamente alla loro prima lingua.

Si sono però accorti che questo accesso non avveniva quando si trovavano di fronte a parole dal significato spiccatamente negativo, come “guerra”, “afflizione”, “sfortuna”: di fronte a esse, il cervello blocca a livello inconscio l’accesso alla prima lingua. E' nata così l'ipotesi che il fenomeno osservato rappresenti la prima prova sperimentale dell’esistenza di processi inconsci in grado di interdire l’accesso di informazioni strutturate alla coscienza e ai livelli cerebrali superiori.

Il controllo inconscio delle emozioni sui processi mentali superiori
© Ocean/Corbis 
"Riteniamo – ha osservato Guillaume Thierry, che ha diretto la ricerca - che si tratti di un meccanismo protettivo. Sappiamo, per esempio, che in una situazione traumatica le persone si comportano in modo molto diverso dal normale. Nel cervello i processi consci di superficie sono modulati da un sistema emotivo più profondo. Forse, questo meccanismo cerebrale tende spontaneamente a ridurre al minimo l'impatto negativo di un contenuto emotivo disturbante sul nostro modo di pensare, per evitare che induca uno stato di ansia o di disagio mentale".

"Abbiamo ideato questo esperimento per svelare le interazioni inconsce tra l’elaborazione del contenuto emotivo e l'accesso al sistema della lingua madre. Pensiamo di avere individuato per la prima volta il meccanismo con cui l’emozione controlla i processi di pensiero fondamentali di fuori della coscienza. Forse si tratta di un processo analogo al meccanismo di repressione teorizzato da tempo, ma che non era mai stato individuato in precedenza", ha aggiunto Yan Jing Wu, che ha partecipato allo studio.

mercoledì 9 maggio 2012

The Meaning of Complementarity

dal sito: www.quantumactivist.com

By Amit Goswami, Ph.D.


Quantum physics is finally coming of age.  The film The Quantum Activist made famous the line “quantum physics is the physics of possibilities.”  And the idea that consciousness chooses actuality from these possibilities must be getting well known too since even the New York Times columnist David Brooks commented in a recent column that quantum physics has much to say about consciousness.
Nevertheless, when you first encounter the idea that consciousness chooses actuality from quantum possibility, you are bound to be puzzled.  Relax.  It’s okay.  Niels Bohr used to say that anybody who is not puzzled by quantum physics cannot possibly understand it.  Perhaps what puzzles you most is that you have no recollection of making a choice as you observe actualities around you.  You know when you choose your favorite flavor of ice cream to eat.  You know when you choose to raise your arm.  But choosing from quantum possibilities?  “Teach me that one and I will choose myself a BMW,” you will say in jest.
But the quantum connoisseur has an answer for you.  You choose from a “higher” consciousness (call it quantum consciousness) which is unconscious in you.  That’s where choice takes place.  In the unmanifest, in the unconscious.  If you learn to align yourself with the movements of this quantum consciousness, your choices will come true.
Establishment scientists who subscribe to a worldview called scientific materialism flatly declare: the idea that consciousness has anything to do with quantum physics is bah humbug anyway.    Consciousness is a brain phenomenon with no causal power.  And unconscious is voodoo psychology.  Look: there is only one world—the space time matter motion world.  This defines nature.  Reject supernatural ideas.
In classical physics, objects are either particle or wave.  In quantum physics, they are both particle and wave creating confusion.  It seems like a paradox.  Look at the experimental data, these scientific materialists say, and you would not be confused. Experimentally, material objects are both waves and particles.  How can it be that way?  Complementarity!  The wave and the particle are two complementary aspects of the same thing.  What nature it will reveal in a particular experiment depends on the choice of experimental apparatus.  If you want to measure the particle aspect, use a cloud chamber: it will measure the approximate trajectory of the object for you to see.  If you want to measure the wave aspect, use a double slit arrangement.  The result will be a wave interference pattern revealing the object as wave.  Each experiment allows you to see only one aspect at a time, never both together.  That is why these aspects are called complementary.
Indeed, today most textbooks of quantum physics define the complementarity principle this way and claim that this resolves the wave-particle paradox.  No reference to two domains of reality here.
But the truth is, quantum physics would not let you do that.  The idea of unmanifest and unconscious potentia is inherent both in the definition and measurement of quantum objects.
As Werner Heisenberg, the co-discoverer of quantum physics knew, quantum objects are defined by waves of possibility residing in potentia, a domain transcending space and time.  A discontinuous event of collapse converts a wave of possibility to a particle of actuality.
And complementarity, as Niels Bohr knew as well as the ancient Taoist philosophers, is complementarity of transcendent wave and immanent particle (in Taoism, it is complementarity of transcendent yang and immanent yin).  The wave and the particle aspect of the quantum object are not on the same footing.  The two domain reality is essential to define complementarity.
What do the experiments say?  On closer examination, you can see that the wave-revealing experiment is indeed not on the same footing as the particle-reveling experiment.  If you examine a cloud chamber track of an electron, you will have no idea that such an object can also be a wave.  But if you look at the data of double slit, does the data explicitly tell you that the electron is a wave?  Absolutely not.  Each electron still arrives as a particle, as a discrete dot on a photographic plate.  Only the totality of the discrete dots tells you about the interference pattern and the wave nature.  The truth is, we cannot measure the wave nature without first measuring the particle nature, that is, without first collapsing the quantum object.
In summary, we cannot get rid of the idea that reality consists of two domains, not one that scientific materialists claim.  The transcendent domain remains unconscious in us where our consciousness is undivided from its material possibilities.  Collapse converts quantum possibility of the object into the particle that we see; collapse also collapses the brain possibilities into the actual brain state with which we identify and which we use to see the object.  All this is explained in my books and need not be repeated here.

traduzione automatica

 La fisica quantistica sta finalmente concretizzando. Il film The Quantum Activist reso famosa la linea "fisica quantistica è la fisica delle possibilità." E l'idea che la coscienza sceglie realtà da queste possibilità devono essere sempre ben conosciuto anche dal momento che anche il New York Times David Brooks ha commentato in un recente articolo che la fisica quantistica ha molto da dire sulla coscienza.
Tuttavia, quando incontrano per la prima volta l'idea che la coscienza sceglie attualità dalla possibilità quantistica, si sono tenuti a essere perplesso. Relax. Va tutto bene. Niels Bohr diceva che chi non è imbarazzato dalla fisica quantistica non può capire. Forse ciò che è più puzzle che non si ha ricordo di fare una scelta, come si osserva attualità intorno a voi. Sapete quando scegliete il vostro gusto preferito di gelato da mangiare. Sapete quando si sceglie di alzare il braccio. Ma scegliendo tra le possibilità quantistica? "Teach me quella e mi sceglierà me una BMW", si dirà per scherzo.
Ma l'intenditore quantistica ha una risposta per voi. Si sceglie da una coscienza "superiore" (la chiamano la coscienza quantistica), che è inconscio in te. È lì che avviene la scelta. Nel manifesto, nell'inconscio. Se si impara ad allineare voi stessi con i movimenti di questa coscienza quantistica, le scelte si avvererà.
Istituzione scienziati che sottoscrivono una visione del mondo chiama materialismo scientifico dichiara categoricamente: l'idea che la coscienza ha a che fare con la fisica quantistica è BAH humbug comunque. La coscienza è un fenomeno del cervello senza alcun potere causale. E inconscio è la psicologia voodoo. Guardate: c'è un solo mondo, il tempo spaziale mondiale materia movimento. Questo definisce la natura. Rifiuta le idee soprannaturali.
In fisica classica, gli oggetti sono o particella o onda. In fisica quantistica, sono entrambi particella e onda creando confusione. Sembra un paradosso. Guardate i dati sperimentali, questi materialisti scientifici dicono, e non si sarebbe confuso. Sperimentalmente, oggetti materiali sono entrambi onde e particelle. Come può essere così? Complementarità! L'onda e la particella sono due aspetti complementari della stessa cosa. Nei natura si rivelerà in un esperimento particolare dipende dalla scelta di apparato sperimentale. Se si vuole misurare l'aspetto delle particelle, utilizzare una camera a nebbia: si misurerà la traiettoria approssimativa dell'oggetto per voi a vedere. Se si vuole misurare l'aspetto dell'onda, utilizzare un doppio sistema di fessura. Il risultato sarà un modello di interferenza d'onda rivelando l'oggetto come onda. Ogni esperimento ti permette di vedere solo un aspetto alla volta, mai tutti e due insieme. Questo è il motivo per cui questi aspetti sono chiamati complementari.
Infatti, oggi la maggior parte dei libri di testo di fisica quantistica definire il principio di complementarità in questo modo e sostengono che questo risolve il paradosso onda-particella. Nessun riferimento a due domini della realtà qui.
Ma la verità è che la fisica quantistica non ti permette di fare questo. L'idea di manifesto e inconscio potentia è insito sia nella definizione e la misurazione di oggetti quantistici.
Come Werner Heisenberg, il co-scopritore della fisica quantistica sapeva, gli oggetti quantistici sono definiti da onde di possibilità che risiedono in potentia, un dominio che trascende lo spazio e il tempo. Un evento discontinuo del collasso converte un'onda di possibilità di una particella di realtà.
E complementarità, come Niels Bohr sapeva così come i filosofi antichi taoisti, è la complementarietà di onda trascendente e immanente di particelle (nel taoismo, è la complementarità di yin yang trascendente e immanente). L'onda e l'aspetto delle particelle di oggetto quantistico non sono sullo stesso piano. Le due realtà di dominio è essenziale per definire la complementarità.
Cosa dicono gli esperimenti? A ben guardare, si può vedere che l'onda-rivelatore dell'esperimento è, infatti, non sullo stesso piano, come la particella-godendo esperimento. Se si esamina una traccia camera a nebbia di un elettrone, non avrete idea che un tale oggetto può anche essere un'onda. Ma se si guardano i dati della doppia fenditura, non i dati in modo esplicito dirvi che l'elettrone è un'onda? Assolutamente no. Ogni elettrone arriva ancora come una particella, come un punto discreto su una lastra fotografica. Solo la totalità dei punti discreti si racconta la figura di interferenza e la natura ondulatoria. La verità è che non possiamo misurare la natura ondulatoria senza prima misurare la natura delle particelle, vale a dire, senza prima collassare l'oggetto quantistico.
In sintesi, non possiamo sbarazzarci dell'idea che la realtà consiste di due domini, non uno che i materialisti scientifici affermano. Il dominio rimane trascendente in noi inconscia dove la nostra coscienza è indivisa dalle sue possibilità materiali. Collapse converte possibilità quantum dell'oggetto nella particella che vediamo; crollo crolla anche le possibilità cervello in uno stato cerebrale attuale con cui si identificano e che usiamo per vedere l'oggetto. Tutto questo è spiegato nei miei libri e non è necessario ripetere qui.



 

Quanto soddisfa parlare di sé? Quasi come il cibo e il sesso

dal sito: www.lescienze.it
 
 Gran parte delle nostre conversazioni ha come argomento centrale noi stessi, ciò facciamo e pensiamo. Una ricerca ha indagato per la prima volta sui meccanismi biologici che spingono a questo comportamento, di cui è riconosciuto il valore adattativo quale mezzo di rafforzamento dei legami sociali, scoprendo che esternare i propri pensier attiva i sistemi primari della ricompensa, gli stessi che rispondono a stimoli come il cibo e il sesso 

(red)

Parlare di sé è gratificante quasi quanto mangiare e fare sesso, e potrebbe addirittura trattarsi di una pulsione primaria: è quanto sostiene una ricerca condotta da due psicologi della Harvard University, che firmano un articolo sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Studi statistici condotti sulla comunicazione umana hanno dimostrato che il tra il 30 e il 40 per cento delle conversazioni quotidiane viene utilizzato per trasmettere ad altri informazioni sulle proprie esperienze soggettive e sui rapporti personali, una percentuale che può arrivare addirittura all’80 quando si tratta delle comunicazioni sui social network.

La nostra specie è intrinsecamente portata a rivelare i propri pensieri agli altri? E che cosa spinge le persone a divulgare con tanta solerzia le proprie opinioni e conoscenze sul mondo? Per rispondere a queste domande, Diana I. Tamir e Jason P. Mitchell hanno condotto una serie di esperimenti per verificare l’ipotesi che l’opportunità di rivelare i propri pensieri sia vissuta come una potente forma di ricompensa soggettiva.

In realtà, non mancano gli studi che hanno analizzato i fattori che influenzano la probabilità che gli individui esternino i propri pensieri e vissuti personali, fattori come il senso di affinità che si può provare verso chi ascolta, o le aspettative di reciprocità, con i conseguenti possibili benefici di ritorno.

Tuttavia queste ricerche hanno sistematicamente indagato il fenomeno dalla prospettiva dei possibili vantaggi adattativi di questo comportamento, per esempio per la creazione o il rafforzamento di legami e alleanze sociali. Non esistevano invece studi che prendessero in esame i meccanismi cerebrali e biologici che spingono a questo comportamento.

Quanto soddisfa parlare di sé? Quasi come il cibo e il sesso 
Comunicare il proprio pensiero attiva le aree della ricompensa (Cortesia D.I. Tamir, J.P. Mitchell / PNAS)
Nel corso di un'articolata
serie di esperimenti, Tamir e Mitchell hanno sottoposto i partecipanti a risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI), mentre esternavano le proprie convinzioni e opinioni oppure formulavano ipotesi su quelle di un'altra persona. In alcuni dei test veniva anche proposto uno scambio fra la possibilità di esprimere il proprio pensiero e una piccola ricompensa in denaro.

Dall’analisi dei risultati è apparso che la comunicazione dei propri vissuti è fortemente associata con l' aumento di attività nelle regioni del cervello corrispondenti al sistema dopaminergico mesolimbico, e in particolare quelle del nucleo accumbens e dell'area ventrale tegmentale, due aree che rispondono significativamente sia alle ricompense primarie, come il cibo o il sesso, sia a quelle secondarie, come il denaro o altri mezzi simbolici che possono essere scambiati con le ricompense primarie.

Sulla base dei dati raccolti, Tamir e Mitchell ipotizzano quindi che per gli esseri umani esternare i propri pensieri sia un evento dotato di valore intrinseco, che mobilita gli stessi meccanismi messi in gioco da ricompense primarie come il cibo e il sesso.

Network cerebrali: ognuno ha la sua frequenza

dal sito: www.lescienze.it
 
Per evitare ingorghi e strozzature che potrebbero compromettere la corretta trasmissione dei segnali, le diverse reti di comunicazione delle aree cerebrali sono sintonizzate su frequenze differenti. Grazie alla magnetoencefalografia, che consente di evidenziare i campi magnetici associati all’attività delle cellule cerebrali, sì è potuta misurare la frequenza dei diversi network cerebrali, che è risultata di 5 Hz nell’ippocampo, 32-45 Hz nelle aree somato-sensoriali e 8-32 Hz per molte altre aree. La metodica potrebbe essere utilie per lo studio di malattie come la depressione e la schizofrenia. (red)

Una “trasmissione multicanale”: è l’analogia con il mondo delle telecomunicazioni che può essere usata per spiegare come fa il nostro cervello a evitare ingorghi e colli di bottiglia che rischierebbero di mandare in tilt alcuni dei suoi snodi cruciali.

A evidenziare questa organizzazione delle reti di comunicazione cerebrale è un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Nature Neuroscience” a firma di un gruppo di ricerca di una collaborazione tra la Washington University School of Medicine a St. Louis, l'University Medical Center a Hamburg-Eppendorf e l’Università di Tübingen.

“Molti disturbi neurologici e psichiatrici probabilmente riguardano la segnalazione nelle reti cerebrali”, ha spiegato Maurizio Corbetta, professore di neurologia della Washington University, che ha coordinato lo studio. “Esaminare la struttura temporale dell’attività cerebrale da questa prospettiva potrebbe essere particolarmente utile per comprendere patologie psichiatriche come la depressione e la schizofrenia, in cui i marcatori strutturali sono scarsi.”

Il risultato di Corbetta e colleghi ha richiesto una sorta di cambiamento di paradigma nello studio dei network cerebrali, reti fra aree del cervello tra loro interconnesse che funzionano regolarmente insieme. Di solito infatti queste reti vengono studiate utilizzando la risonanza magnetica funzionale, che permette di evidenziare le aree attive tracciando quelle in cui si evidenzia un aumento del flusso sanguigno durante un determinato compito svolto dal soggetto.

Questa metodica ha tuttavia importanti limitazioni. “La risonanza magnetica funzionale permette di tracciare l’attività delle cellule del cervello solo in modo indiretto e solo quando tale attività è associata a frequenze
maggiori di 0,1 hertz, ovvero un ciclo ogni 10 secondi”, sottolinea Corbetta. “Sappiamo però che nel cervello alcuni segnali possono raggiungere anche frequenze di 500 hertz”.

Network cerebrali: ognuno ha la sua frequenza
Le dimensioni dell'apparecchiatura danno un'idea della complessità delle indagini che utilizzano la magnetoencefalografia (© Jim Thompson/ZUMA Press/Corbis)
Per arrivare a studiare frequenze così elevate è necessario ricorrere a una tecnica differente, denominata magnetoencefalografia (MEG) che consiste nella misurazione di campi magnetici prodotti nel corso dell’attività cerebrale e che da tempo viene utilizzata come strumento di indagine nelle ricerche sull’epilessia. Con la MEG si riescono a rilevare segnali fino a 100 hertz, anche nel caso in cui siano coinvolte molte cellule contemporaneamente.

Applicando la MEG a 43 volontari in buona salute è stato riscontrato che differenti network cerebrali sono sintonizzati ognuno su un gruppo di frequenze diverse: 5 Hz nel caso dell’ippocampo, 32-45 Hz nel caso delle aree somato-sensoriali, mentre altre aree operano a frequenze comprese fra gli 8 e i 32 Hz.

I risultati forniscono così una sorta di mappa della struttura temporale delle aree cerebrali che completa, e in qualche modo supera, la mappa spaziale dei network ottenuta con la risonanza magnetica funzionale.

I libri arrivano su Google Play per Android, computer e iOS

dal sito: www.repubblica.it

Oltre due milioni di titoli tra cui scegliere. L'Italia è il primo Paese di lingua non inglese a rendere accessibile la piattaforma. Più di 80 gli ebook reader compatibili e oltre al testo, si avrà l'opportunità per ogni libro di poter leggere la scheda tecnica, le recensioni, le descrizioni e anche un'anteprima da scaricare

BIG G porta i libri su Android, pc e dispositivi iOs anche in Italia, grazie a un accordo tra il colosso americano e alcuni editori italiani. Da oggi sarà quindi possibile acquistare libri in formato digitale su Google Play, la piattaforma cloud di intrattenimento digitale di Google.

L'Italia è il primo Paese di lingua non inglese a rendere accessibile la piattaforma e i lettori avranno a disposizione più di 2 milioni di titoli tra cui poter scegliere. Numerosi gli editori italiani che hanno deciso di essere partner, dai gruppi più grandi come Mondadori, Einaudi, Piemme, Sperling&Kupfer, Rizzoli. I prezzi saranno variabili in base alle diverse case editrici, Mondadori oscilla fino ad un massimo di 9,99 euro, Rcs attua una politica che si basa sul valore, con ragionamenti ad hoc.

La piattaforma cloud consentirà al libro acquistato di vivere nella 'nuvola' e quindi i lettori potranno accedere da qualsiasi dispositivo: pc, smartphone, tablet. Tutti i dispositivi sono sincronizzati tra loro, quindi il lettore avrà la possibilità di scegliere dove, come, con che mezzo leggere il libro acquistato. Sono più di 80 gli ebook reader compatibili e a breve arriverà anche in Italia l'applicazione Google Play Books per iOS.

Oltre al testo, si avrà l'opportunità per ogni libro di poter leggere la scheda tecnica, le recensioni dei lettori, le descrizioni e anche un'anteprima da scaricare. Sarà possibile leggere anche in modalità offline.

Secondo Marcello Vena, head of digital products, Google Play arricchisce in termini potenziali il mercato perchè "separa il concetto di scoperta e fruizione del libro dal dispositivo di lettura". I dispositivi tecnologici si evolvono nel tempo per cui "è importante per il lettore poter cambiare device e non essere vincolato ad un unico strumento. Dunque è un un'opportunità di allargare il mercato", spiega Vena.
(08 maggio 2012)

Microsoft, il pc si comanda a gesti la tecnologia dall'effetto doppler

dal sito: www.repubblica.it

Soundwave è un modello di input basato sulla rilevazione del movimento delle mani attraverso l'audio e gli ultrasuoni. A costo zero, perché utilizza componenti già installati nei pc e non ha bisogno di hardware dedicato. Molte le applicazioni possibili e il sistema, anche se sperimentale, è già molto preciso

L'EFFETTO DOPPLER è ben esemplificato da quel suono che si può sentire quando si viene sorpassati da un'automobile particolarmente veloce. Il movimento del veicolo fa percepire un cambio dell'onda sonora emessa dal motore, che in realtà è sempre la stessa. E l'effetto doppler è alla base di Soundwave, un progetto Microsoft che parte dal suono per arrivare alla gestualità, con cui controllare un dispositivo elettronico. Senza l'impiego quindi di un sensore di movimento e posizione come quello di Kinect, la periferica per Xbox che consente di interagire con i videogiochi muovendo il corpo. Dopo Disney che pensa a un mondo tutto touch 1, Microsoft lavora per sottrazione e sostituisce la gestualità al tocco.

A Redmond hanno pensato di utilizzare l'effetto doppler come sorgente di informazioni, che poi il computer interpreta per capire come le mani dell'utente si muovono davanti al pc. Soundwave funziona misurando quello che percepisce dal microfono del computer e quello che esce dagli speaker, dopo una calibratura audio e delle mani con l'emissione di un ultrasuono tra i 20 e i 22 kHz. Un effetto simile a quello che si otterrebbe suonando un theremin, uno strumento musicale basato sui campi elettrici. Di fatto, una specie di "accordatura" delle mani, che permette al sistema di rilevare precisamente il loro comportamento, attraverso la comparazione dei dati provenienti
dall'input e dall'output.

Soundwave diventa quindi capace di capire come l'utente sta muovendo le mani davanti allo schermo. Sono molti i parametri rilevabili e quindi particolarmente complesse le interfacce che se ne potrebbero ottenere. Calcolando e amalgamando i dati relativi alla velocità, alla direzione e alla copertura spaziale del moto delle mani, Soundwave restituisce un comportamento su schermo, che nei primi test si dimostra veloce nella comprensione e piuttosto accurato, con una precisione del 90%. Le applicazioni possibili sono numerose già con le funzionalità al momento limitate, dal controllo senza dispositivi esterni di un computer all'interattività complessa.

Il vero punto a favore di Soundwave su Kinect è che per natura non ha bisogno di altro per funzionare che di semplici microfoni e casse. Tutti componenti a basso costo, e in ogni caso disponibili in computer anche non più recentissimi. Kinect è invece basato su tecnologie dedicate che ne fanno un dispositivo di input sofisticato ma dal costo sensibilmente più alto. E soprattutto non pregiudica la funzionalità degli speaker, che devono naturalmente rimanere inattivi affinché Soundwave possa funzionare. Almeno fino a che Microsoft svilupperà una tecnologia di cancellazione del suono d'ambiente.
(09 maggio 2012)

Twitter, sessantamila password rubate "Cambiate la vostra parola chiave"

dal sito: www.repubblica.it

Pubblicati online i dati di accesso di migliaia di account del social network. L'azienda: "Già avvisati gli utenti colpiti". Il giallo della lista: forse è in rete dall'estate scorsa, ma nessuno a Twitter se ne era mai accorto  

di ALESSIO SGHERZA

NON C'È pace nel paradiso dei social network: i dati di accesso di sessantamila utenti Twitter sono stati rubati e pubblicati online. Una mole imponente che mostra coppie composte da un indirizzo e-mail e una password, ovvero tutto ciò che è necessario per impossessarsi di un account del social network.

I file, pubblicati tra lunedì e martedì, sono poco più di sessantamila (60.240 per la precisione) e sono stati pubblicati su un sito spesso usato dagli hacker per la condivisione di file di testo. Twitter ha ammesso che il problema esiste e ha aperto un'indagine per capire come sia stato possibile, ma ridimensiona il numero di account a rischio: ci sarebbero infatti molte ripetizioni nella lista, circa ventimila, e molti altri sono finti account usati dagli spammer, e per questo già sospesi. Inoltre, dice ancora Twitter alla France Presse, "alcune credenziali non sono abbinate correttamente". Ovvero l'indirizzo e-mail non corrisponde a quella password e viceversa.

Scorrendo la lista, sembra che ad essere colpiti siano soprattutto utenti brasiliani o di madrelingua inglese. Ma potrebbe esserci di tutto. "Stiamo studiando la situazione - spiegano ancora da Twitter - e abbiamo inviato messaggi di reimpostazione della password a tutti gli utenti che crediamo possano essere stati colpiti".

C'è inoltre un altro sospetto, che è allo stesso tempo una buona e una cattiva notizia. Ovvero che la lista pubblicata oggi non sia esattamente nuova. Lo scorso anno, a luglio, LulzSec,
una sigla del movimento hacker a volte legata ad Anonymous, ha infatti pubblicato circa sessantamila e-mail e password rubate senza dire a quale sito facessero riferimento (si parlava di 'random source', ovvero 'fonti casuali').

Già la coincidenza del numero fa pensare: se poi ci aggiungiamo che molti dei nomi della nuova lista corrispondono a quella dell'anno scorso, il sospetto diventa quasi certezza.

Così la buona notizia è che ora almeno si sa che si tratta di account Twitter, e molti dei quali avranno già una password nuova cambiata nel corso dell'ultimo anno. La cattiva notizia è che una lista gira sul web da un anno e Twitter sembra essersene accorto solo ora. Forse un campanello di allarme sarebbe potuto suonare già un anno fa.

L'annuncio della pubblicazione arriva proprio nel giorno in cui l'account dell'attore Mark Ruffalo - oggi al cinema con The Avengers, in cui interpreta Hulk - è stato hackerato, con tanto di presa in giro: "Abbiamo preso il tuo account perché la password era veramente stupida LOL =))". Non è chiaro se i due eventi siano collegati.
(09 maggio 2012)

Lingue in via d'estinzione per salvarle si va sul web

dal sito: www.repubblica.it

Ogni 14 giorni muore un idioma e, di conseguenza, una cultura. Ma esistono comunità che chiedono aiuto alla tecnologia. E' il caso del Ktunaxa, parlato da una tribù di nativi dell'America nord-occidentale, e di tante altre  

di PAOLA ROSA ADRAGNA

ESISTE una lingua parlata solo da dodici persone. O meglio: esiste una lingua, antichissima e senza legami con altre lingue esistenti, che combatte l'estinzione con le armi della globalizzazione. Si tratta del Ktunaxa, parlato da alcune tribù di nativi che abitano nell'America nord-occidentale, tra il Montana, l'Idaho e la Columbia Britannica.

Secondo un censimento del 1990 i parlanti Ktunaxa erano poco meno di 400, ma i dodici che ne conservano strutture e lessico intatti appartengono soprattutto alla vecchia generazione. E nessun altro al mondo è capace di parlarlo. Il rischio è quello che, come successo al Kamassino (parlato fino a 30 anni fa in Russia, sui monti Urali) e a tante altre, la lingua possa estinguersi con la morte degli ultimi anziani.

Alcuni membri della comunità hanno così deciso di utilizzare la tecnologia per combattere questo pericolo. Stanno caricando su internet registrazioni, giochi interattivi per bambini e altro materiale trascritto da rendere fruibile a chiunque voglia imparare il Ktunaxa. Ci sono addirittura corsi di laurea online per gli adulti desiderosi di riscoprirlo.

La soluzione sembra delle più sensate visto che i giovani membri della comunità sono tutti nativi digitali. Grazie alla Rete poi, il materiale caricato è accessibile a chiunque, in qualunque posto si trovi. "Se non avessimo agito - spiega Marisa Philips, una delle 'conservatrici' - avremmo rischiato di perdere, non solo la nostra lingua, ma anche la nostra identità di nazione e popolo
Ktunaxa".

La comunità, composta da circa 2000 persone, cerca così di riuscire dove altri hanno fallito. Quella zoan d'America è stata infatti la tomba di numerose altre lingue indigene. "Cerchiamo di essere all'avanguardia e di pensare alle possibili cose da fare nel futuro per continuare a preservare la nostra cultura", afferma Don Maki, il direttore del consiglio nazionale.

E il Ktunaxa non è l'unica lingua che vede nella tecnologia una via di salvezza dall'estinzione. Esiste un'applicazione per iPhone che insegna la pronuncia delle parole in Tuvan, lingua di una popolazione nomade che vive tra Mongolia e Siberia. Per il Siletz Dee-ni (degli indiani d'America dell'Oregon) e per altre sette lingue in pericolo di estinzione, David Harrison, professore di linguistica allo Swarthmore College in Pennsylvania , con la collaborazione dei madrelingua ha prodotto e pubblicato sul web otto dizionari 'parlanti'.

Secondo la rivista National Geographic ogni 14 giorni muore una lingua. Tra cent'anni potrebbero essere scomparse la metà delle oltre 7000 lingue parlate oggi nel mondo, con la conseguente perdita di migliaia di culture. La tecnologia, accusata di uccidere le diversità, forse è l'unico modo per salvarle.
(09 maggio 2012)

Lo spray per ubriacarsi al volo

dal sito: www.zeus.it

 Una spruzzata e si ottengono gli stessi effetti dell'alcool, ma senza conseguenze negative.

 
Wahh Quantum Sensations
Provare la sensazione dell'ebbrezza data dall'alcool senza bere e - così pare - senza conseguenze nocive.
È questa la promessa di Wahh Quantum Sensations, un piccolo spray nato da un'idea dell'inventore David Edwards e del designer Philippe Starck.
La confezione, che assomiglia a un rossetto, contiene fino a 20 "dosi" da 0,075 ml di alcool e costa circa 20 euro.Ogni spruzzata permette, a detta di Starck e Edwards, di provare pochi secondi di ebbrezza, la stessa che si otterrebbe dopo aver assunto alcool per la via normale, che poi svanisce senza lasciare conseguenza alcuna.
«La questione» - ha spiegato Philippe Starck - «è come farsi del bene senza farsi del male. Wahh è una alternativa che ti offre la sensazione di ebrezza senza i suoi effetti nefast

lunedì 7 maggio 2012

Gli oggetti comuni diventano "touch" c'è Disney dietro la sperimentazione

dal sito: www.repubblica.it

SCENARI

Touché è il nome della tecnologia sviluppata con la Carnegie University. Materali, strumenti e persino il corpo umano diventano una superficie "smart". Si potrà interagire con oggetti di uso comune in maniera nuova e controllare applicazioni senza utilizzare dispositivi. Infinite le applicazioni possibili  

di TIZIANO TONIUTTI


OLTRE IL TOUCHSCREEN c'è un mondo nuovo, come quello di Alice nel paese delle meraviglie e di Fantasia. E forse non è un caso se dietro tutte queste raffigurazioni di universi fantastici compare il nome di Disney, proprio quella di Topolino. Che assieme alla Carnegie Mellon University sta conducendo ricerche su come rendere sensibili al tocco e interattive superfici di uso comune e addirittura liquidi.

Lo schermo da toccare sarà solo uno dei modi per interagire con la tecnologia e con le applicazioni. Ogni oggetto potrà diventare "smart", dalla maniglia della porta a una superficie d'acqua. Fino al corpo umano, che può diventare l'interfaccia verso applicazioni di qualunque tipo, senza utilizzare riconoscimento visivo e gestualità. Qualcosa di mai visto prima e già parecchio più avanti a quello che si poteva ipotizzare come futuro prossimo. E che fa pensare a un numero illimitato di possibili applicazioni.

Touché. Il principio che muove la ricerca Disney-Carnegie è lo stesso alla base dei touchscreen capacitivi. La differenza ta nelle frequenze. Mentre uno schermo utilizza una singola frequenza di analisi dei segnali elettrici, Disney amplia lo spettro a più frequenze, attraverso una tecnologia denominata Touché. Attraverso questa, che comprende un sistema di monitoraggio in tempo reale di come e da cosa un oggetto viene toccato, denominato Swept Frequency Capacitive Sensing. Un'architettura software che riprende segnali da elettrodi permette a una data applicazione di verificare chi, con che parte del corpo, cosa e in che modo sta interagendo con la superficie tattile. Nel video di Disney ad esempio, si vede una bambina che viene avvisata da un sistema acustico quando la sua tazza di cereali "capisce" che la piccola non sta facendo colazione utilizzando le posate. Gli elettrodi non sono fondamentali: nel caso della maniglia della porta intelligente, è la maniglia stessa a diventare il rilevatore, la superficie in grado di recepire come viene toccata. Allo stesso modo, anche i liquidi e il corpo umano possono diventare superfici interattive. E controllare applicazioni come per magia.

Ivan Poupyrev è uno scienziato Disney e spiega che la SFCS è impiegata da anni nelle comunicazioni senza filo. Nessuno aveva però mai pensato di applicarla alle superfici touch, e dalle ricerche emerge che il successo nella ricognizione del tocco e della gestualità si approssima al 100%. Insomma potrebbe non volerci molto prima che questa tecnologia faccia il salto dai laboratori ai negozi di elettronica. Per ora ci sono le immagini Disney in cui si vedono gli oggetti "smart" interagire con il mondo esterno. Video in cui si vede un mondo fantastico per la prima volta più vicino a quello reale che all'immaginazione.

Spintronica, è l'ora dell'effetto Hall di spin "gigante"

dal sit: www.lescienze.it

Una sperimentazione sul tantalio ha permesso di dimostrare un effetto Hall quantistico di spin abbastanza intenso da poter essere sfruttato per un’efficiente inversione di spin e di momento in ferromagneti a temperatura ambiente, permettendo un passo avanti verso la realizzazione di tecnologie logiche basate sullo spin (red)

La spintronica – cioè la tecnologia che sfrutta lo spin e il momento magnetico degli elettroni per ottenere un trasporto e una manipolazione dell’informazione più efficienti – ha conosciuto un notevole sviluppo negli ultimi anni. L’ultimo risultato in ordine di tempo, è pubblicato sulla rivista “Science” a firma di un gruppo di ricercatori della Cornell University.

Come spiegano gli autori, correnti dotate di polarizzazione di spin possono essere utilizzate per applicare un momento meccanico ai dispositivi spintronici. Questa possibilità è di enorme rilevanza per questo campo di ricerca, perché permette una manipolazione di dispositivi magnetici alle nanoscale con correnti che sono alcuni ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli richiesti per un controllo basato su campi magnetici.

Quale sorgente della corrente di spin è stato proposto l’effetto Hall. Scoperto dai fisici russi Mikhail I. Dyakonov e Vladimir Perel nel 1971, l’effetto Hall quantistico di spin è un fenomeno di trasporto che consiste nella comparsa di un accumulo di polarizzazione di spin sulle superfici laterali di materiali che trasportano corrente. In particolare, si osserva che su facce opposte i versi degli spin sono opposti.

Di fatto, tuttavia, la sua limitata intensità ne ha compromesso fortemente una diffusa applicazione.

In quest’ultimo studio Luqiao Liu e colleghi riferiscono di aver riscontrato un effetto Hall quantistico di spin gigante nel b-tantalio che genera correnti di spin abbastanza intense da indurre un’efficiente inversione di spin e di momento di ferromagneti a temperatura ambiente. L’intensità dell’effetto è stata quantificata mediante tre metodi indipendenti e sì è riusciti a dimostrare l’inversione
degli spin su strati magnetizzati sia in direzione parallela al piano sia in direzione perpendicolare.

Oltre a ciò, gli studiosi hanno realizzato un dispositivo a tre terminali che utilizza la corrente che passa attraverso un doppio strato tantalio-ferromagnete per commutare un nanomagnete, con una giunzione a effetto tunnel magnetico che funge da elemento di lettura (come avviene normalmente nelle testine dei comuni hard-disk dei computer).

Quest’ultimo si configura come un semplice, efficiente e affidabile strumento in grado di eliminare i principali ostacoli allo sviluppo di una memoria magnetica e di tecnologie logiche basate sullo spin in grado di evitare il problema della volatilità che affligge i prototipi dello stesso tipo realizzati finora.

domenica 6 maggio 2012

Riviste di scienza, costi super gli scienziati: "Boicottiamole"

dal sito: www.repubblica.it

Editoria

Diecimila professori e studiosi di tutto il mondo hanno lanciato il loro "occupy" contro i prezzi esagerati delle pubblicazioni a carattere scientifico, un settore che si arricchisce sempre di più mentre gli atenei affondano nei debiti. E Wikipedia si impegna a ospitare gratuitamente gli studi realizzati con soldi pubblici  

di ELENA DUSI

ROMA - L'hanno chiamata "la Primavera dell'Accademia": gli 11mila scienziati che vi hanno aderito non pubblicheranno più i loro articoli su riviste a pagamento. Alla loro iniziativa si affianca oggi Wikipedia, che su richiesta del governo britannico si è impegnata a ospitare gratuitamente gli studi realizzati con i soldi dei contribuenti. "In un mondo che cambia, c'è bisogno di cambiare il modello economico delle pubblicazioni scientifiche" ha scritto sul Guardian il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales.

Nel mirino c'è un settore che si arricchisce sempre di più mentre gli atenei affondano nei debiti: quello dell'editoria delle riviste scientifiche, che con i suoi 25mila titoli e un milione e mezzo di articoli all'anno (di cui solo il 20% accessibile senza pagare) muove un giro d'affari di 10 miliardi di dollari. Un abbonamento annuale a Tetrahedron, giornale specializzato in chimica organica, costa ad esempio 20mila dollari (l'equivalente di una borsa di dottorato). Altre riviste arrivano a 40 mila. Il più grande (e odiato) fra gli editori scientifici - la Elsevier di Amsterdam, 2mila giornali scientifici pubblicati con il suo marchio - ha attraversato la crisi con un ricavo di 3,4 miliardi di dollari nel 2011 e un margine di profitto impensabile in quasi ogni altro campo dell'economia: 36%.

"Se decidi di non appoggiare più Elsevier e i suoi giornali, aggiungi il tuo nome": l'appello partito il 21 gennaio dal blog del matematico di Cambridge Timothy Gowers si
è ingigantito di giorno in giorno, arrivando oggi a 11.000 firme. Gli scienziati che aderiscono (molti gli italiani) si impegnano a non inviare più i loro articoli alle riviste e a non partecipare alla valutazione dei lavori dei colleghi. Al boicottaggio (che continua a raccogliere adesioni sul sito thecostofknowledge.com 1) si sono uniti due pesi massimi della scienza mondiale come il Wellcome Trust britannico (il più grande finanziatore di ricerca medica dopo la fondazione Gates) e l'università di Harvard negli Usa (la seconda istituzione non a scopo di lucro più ricca del mondo).

Non solo il Wellcome Trust ha invitato i ricercatori a pubblicare i loro studi esclusivamente su riviste senza abbonamento. Il suo presidente Mark Walport ha anche dichiarato al Guardian che la fondazione sta per lanciare la rivista scientifica online gratuita "eLife", capace di fare concorrenza ai giganti (a pagamento) Nature e Science. Harvard da parte sua ha pubblicato sul sito una lettera rivolta ai ricercatori di tutte le facoltà, invitandoli a condividere online i loro studi con tutti i colleghi del mondo.

Il meccanismo perverso sotto accusa prevede che i ricercatori spendano soldi per svolgere i loro studi. Una volta completata, la ricerca viene inviata gratuitamente a una rivista scientifica, nella speranza di una pubblicazione che porterebbe prestigio e visibilità. La rivista chiede a quel punto una valutazione (sempre gratuita) ai maggiori esperti della materia ed eventualmente inserisce lo studio fra le sue pagine. Il giornale messo insieme col lavoro dei ricercatori viene alla fine venduto per decine di migliaia di euro alle biblioteche delle università, incluse quelle che con i propri scienziati avevano fornito gli articoli. Non è difficile capire come mai, in tempi di diffusione sempre meno cartacea, i margini di profitto di Elsevier e degli altri quasi-monopolisti del settore (Springer e Wiley) siano lievitati in maniera sproporzionata. Il tutto in un periodo in cui i tagli ai finanziamenti rendono ardua la sopravvivenza delle università.

Harvard, che spende ogni anno 3,75 milioni di dollari in riviste scientifiche (libri esclusi) ha scritto nella sua durissima lettera che "la situazione è diventata insostenibile". Il messaggio, rivolto al suo staff al completo, è un atto d'accusa senza ombra di diplomazia: "I prezzi degli articoli online di due grandi case editrici sono aumentati del 145% negli ultimi 6 anni. La situazione è esacerbata dagli sforzi di vendere le riviste in pacchetti". George Monbiot, giornalista del Guardian e professore alla Oxford Brookes University, ha trovato un modo amaramente ironico di descrivere la situazione: "Accanto agli editori scientifici, Rupert Murdoch sembra un socialista".
(05 maggio 2012)

sabato 5 maggio 2012

Quali sono gli effetti della deprivazione sensoriale?

dal sito: www.focus.it

Lo scienziato John Lilly, inventore della vasca di deprivazione sensoriale, nel 1977 - Foto: © Roger Ressmeyer/CORBIS
Lo scienziato John Lilly, inventore della vasca di deprivazione sensoriale, nel 1977 - Foto: © Roger Ressmeyer/CORBIS

È una condizione in cui gli organi di senso sono privati di ogni stimolazione esterna. I suoi effetti sono stati studiati negli anni ’50 dal neuroscienziato americano John Lilly, nei laboratori dell’Istituto nazionale di salute mentale degli Usa. A tutto relax. Per farlo, utilizzò una grande vasca, detta appunto “vasca di deprivazione sensoriale”: per eliminare ogni sensazione tattile e termica, era riempita di acqua salata a temperatura corporea, così che il corpo galleggiasse e senza alcuna sensazione di freddo o di caldo. Inoltre, un coperchio impediva alla luce di filtrare e garantiva un perfetto isolamento acustico. L’ipotesi di Lilly era che, senza alcuna stimolazione sensoriale, il cervello cessasse qualunque attività. Scoprì invece che l’assenza di stimoli conduce a un profondo rilassamento e a uno stato simile a quello del dormiveglia. Una sensazione psicofisica di pace ed estraneità dal mondo paragonabile a quella che viene raggiunta dai monaci buddisti con la meditazione.


Sensazioni “cerebrali”
Secondo le testimonianze di chi si è sottoposto al trattamento, già dopo una mezzora dall’immersione si inizia a riscontrare un’alterazione nella percezione dei confini del corpo. Col passare del tempo, il cervello inizia a percepire ronzii e lampi di luce, fino ad arrivare a vere e proprie allucinazioni. Inoltre, si ha la sensazione che il proprio corpo di trasformi: le braccia sembrano allungarsi, oppure accorciarsi, o scomparire del tutto. In rari casi si sono registrati episodi di delirio, a testimonianza della perdita di ogni contatto con la realtà.