Cerca nel blog

giovedì 12 gennaio 2012

Dalle estremità dei cromosomi il segreto su quanto vivremo

dal sito: repubblica.it

Studio scozzese sui Pnas basato sull'analisi delle cellule del sangue nei fringuelli zebrati. I telomeri, grazie ai quali nessuna informazione genetica viene dispersa, sarebbero in grado di determinare l'aspettativa di vita di un individuo

LE estremità dei cromosomi celano il segreto di quanto vivremo, permettendo di creare una sorta di "oroscopo" genetico capace di darci indicazioni per il futuro. Lo sostiene una ricerca dell'Università britannica di Glasgow.

Lo studio pubblicato sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, i Pnas, dimostra che le aspettative di vita di un individuo possono essere determinate misurando da piccoli la lunghezza delle strutture molecolari poste alle estremità dei cromosomi, i telomeri: una sorta di "cappuccio" protettivo che aiuta i pacchetti di informazione genetica a non logorarsi ogni volta che la cellula si divide. Grazie ai telomeri, quindi, nessuna informazione genetica viene dispersa.

La correlazione fra i telomeri e la longevità è nota da tempo, ma lo studio dei ricercatori scozzesi è il primo a misurare la lunghezza di questi complessi molecolari negli stessi individui dai primi giorni di vita e successivamente, a intervalli regolari. I loro risultati mostrano che la lunghezza dei telomeri nelle prime fasi dopo la nascita è in grado di predire la durata della vita.

Lo studio si basa sull'analisi delle cellule del sangue di un gruppo di fringuelli zebrati ed ha verificato che gli esemplari più longevi presentavano telomeri più lunghi rispetto ai propri simili già 25 giorni dopo la nascita e in tutte le successive misurazioni.
(10 gennaio 2012)

Banda larga, arrivano le regole per le reti di nuova generazione

dal sito: www.repubblica.it

L'Agcom vara il regolamento che dovrebbe sbloccare il conflitto tra Telecom Italia e gli operatori alternativi: i concorrenti potranno comprare le infrastrutture dall'ex monopolista, che non sarà obbligato a fornirle in unbundling. Calabrò: "Italia all'avanguardia". La posizione di Vodafone di ALESSANDRO LONGO

Forse la stagione della banda larghissima in Italia può davvero cominciare. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), ha infatti dettato le prime regole per gli operatori, sistemando quello che si spera sia il tassello conclusivo per una lunga stagione di conflitti tra Telecom Italia e le aziende concorrenti.

Le regole definiscono il volto delle connessioni internet dei prossimi anni, quelle in fibra ottica a 100 Megabit. Secondo lo scenario disegnato dall'Agcom, la banda larghissima in Italia potrà fiorire con un mix di tecnologie: l'Authority ha cercato una difficile mediazione tra due richieste: da una parte, quella di Telecom Italia, che sostiene di poter investire bene nelle nuove reti solo con regole chiare e leggere. Dall'altra, quella degli operatori alternativi, che invece hanno più volte pregato Agcom di imporre a Telecom un certo numero di vincoli. Lo scopo degli alternativi è poter utilizzare in vario modo la rete in fibra ottica che Telecom sta costruendo e così offrire questi servizi a un gran numero di italiani.

Il dilemma per l'Authority era se favorire gli investimenti di Telecom o lo sviluppo della concorrenza nella banda larghissima. L'Agcom sembra aver scelto una via di mezzo: chiede a Telecom, per prima cosa, di presentare entro due mesi un'offerta all'ingrosso che i concorrenti possano sfruttare per utilizzare la sua rete e dare i servizi al pubblico. Dovranno esservi incluse varie modalità di accesso alla nuova rete. La prima è l'accesso "end to end": in sostanza l'operatore potrà comprare da Telecom la parte di rete che gli serve per arrivare fino all'utente con la fibra. Potrà utilizzare i cavidotti di Telecom e la sua cablatura verticale dei palazzi.

Il tipo di rete in fibra scelto da Telecom (architettura Gpon) impedisce al momento, tecnicamente, l'unbundling fisico (quella modalità che su Adsl ha dato vita alle offerte più ricche ed economiche). Né Agcom ha il potere normativo di costringere l'operatore a cambiare tipo di rete. Ecco quindi che, oltre alla modalità end to end, ne impone altre due (che richiedono un minore livello di infrastrutture): il Virtual unbundling e il bitstream. Del resto, secondo anche il parere invitato dall'Antitrust all'Agcom, la modalità end to end è insufficiente a garantire una buona concorrenza. Bisognerà vedere le condizioni economiche delle altre due per capire se basteranno.

A quanto risulta, comunque, Agcom ha imposto a Telecom prezzi orientati al costo (quindi non di libero mercato) in tutte le zone in cui non c'è un sostanziale livello di concorrenza. "Aspettiamo di leggere la delibera (che sarà pubblicata nei prossimi giorni, ndr.) per vedere i dettagli", dice Marco Fiorentino, vice presidente Aiip (Associazione dei principali provider italiani). "Già ora però diciamo che ci opporremo in tutte le sedi - al Tar del Lazio, al Consiglio d'Europa - se l'Agcom intende togliere obblighi bitstream nelle zone in cui ci sono solo concorrenti infrastrutturati. E' ammissibile toglierli solo laddove c'è una concorrenza reale tra servizi bitstream", aggiunge.

I principali operatori alternativi avevano chiesto invece di mantenere l'obbligo dell'unbundling, per la rete in fibra, così com'è ora su rame (Adsl). Hanno scritto questa richiesta in una lettera inviata ad Agcom nei giorni scorsi. Dovranno accontentarsi di un obbligo futuro: le prossime tecnologie per la fibra ottica permetteranno l'unbundling anche sul tipo di rete scelto da Telecom e a qual punto diventerà obbligatorio fornirlo.

"Con questa delibera l'Italia si colloca nel gruppo ristretto dei paesi che hanno già completato il quadro regolamentare funzionale allo sviluppo delle reti di nuova generazione", commenta comunque il presidente Agcom Corrado Calabrò, secondo il quale "gli operatori alternativi avranno a disposizione la più ampia gamma di servizi all'ingrosso per le reti in fibra, e saranno quindi in grado di offrire alla clientela quei servizi innovativi che la banda ultralarga rende possibili".

La palla adesso passa al mercato. A Telecom Italia, in particolare, che valuterà dove estendere la propria rete in fibra 100 Megabit, adesso disponibile solo in 40 mila palazzi in quattro città. Era un limite imposto da Agcom e decadrà non appena Telecom pubblicherà un'offerta all'ingrosso adeguata. Sta per cominciare insomma la stagione della banda larghissima in Italia. Salvo altri intoppi e litigiosità tra i concorrenti.

"L'impatto della decisione dell'Agcom dipenderà fortemente dalle condizioni tecniche ed economiche nella fornitura dei servizi all'ingrosso ed in particolare dell'accesso disaggregato alla rete, del servizio end-to-end e
di tutti i servizi attivi", fanno sapere da Vodafone. "E' infatti evidente che l'eventuale definizione di condizioni economiche non sostenibili comprometterebbe definitivamente la possibilità di sviluppo delle infrastrutture e della competizione da parte degli operatori alternativi".
(11 gennaio 2012)

Icann lancia la nuova internet Domini aperti e multi-codice


da: www.repubblica.it

Dopo anni di gestazione, l'organismo nato per garantire la stabilità e lo sviluppo della Rete dà il via libera alla più grande apertura di domini di 1º livello. Si accetteranno anche nomi in alfabeto cinese e arabo: tramonta così l'egemonia a stelle e strisce sul Web di GIULIA BELARDELLI

CI VORRA' del tempo prima di comprenderne gli effetti, ma internet sta per intraprendere uno dei cambiamenti più significativi della sua storia. Ce ne accorgeremo quando vedremo indirizzi Web terminare con caratteri a noi sconosciuti, ma pane quotidiano per popolazioni che, giorno dopo giorno, fanno un uso sempre maggiore della Rete. Dal 12 gennaio, infatti, la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann), l'organizzazione non profit nata con il compito di assicurare la sicurezza, lo sviluppo e la stabilità di internet, inizierà ad accettare le richieste per una nuova classe potenzialmente infinita di nomi di dominio di primo livello (i cosiddetti TLD, "top-level domain"). Potranno nascere, dunque, suffissi Web di ogni tipo a patto che si sia disposti a pagare 145.000 euro e si riesca a superare la fitta rete di controlli ideata da Icann per scongiurare il rischio di frodi e "occupazioni" virtuali.

Sullo sfondo di questo piano  -  il cui iter va avanti da ben sei anni  -  c'è il malumore di diverse aziende e organismi internazionali. Non solo: a storcere il naso è soprattutto il Congresso americano, il quale non vede di buon occhio l'internazionalizzazione che è alla base del nuovo sistema. Una delle novità più grandi, infatti, mette in crisi l'egemonia occidentale (e statunitense in particolare) anche dal punto di vista linguistico, ammettendo la possibilità di nomi composti da caratteri non latini. Chi l'ha detto, d'altronde, che gli alfabeti cinese, cirillico e arabo non debbano avere diritto di cittadinanza a fine URL? Ecco dunque nel dettaglio in cosa consiste il nuovo piano e quali conseguenze potrebbe avere sul volto sempre più multietnico di internet.

A ognuno il suo dominio. Ad oggi nel cyberspazio esistono solo sedici possibili indirizzi alla destra del punto (come .com e .net) che non si riferiscono a Paesi o territori (come .uk o il nostro .it). Negli ultimi anni Icann ha lavorato per aggiungere a questa categoria nuovi domini, cercando allo stesso tempo di proteggere i marchi e i consumatori. Da giovedì prossimo e fino al 12 aprile, aziende, governi e comunità di tutto il mondo potranno presentare domanda per introdurre e gestire un nome di dominio a propria scelta. Poi toccherà alla stessa Icann, in collaborazione con l'Interpol, il compito di verificare l'attendibilità dei singoli applicanti e scovare eventuali richieste indebite. Al momento è impossibile prevedere il numero delle domande che verranno archiviate nel corso di questi tre mesi: alcuni parlano di centinaia, altri di migliaia.

Internet che cambia. Il CEO di Icann, Rod Beckstrom, ha confermato il calcio d'inizio durante una conferenza stampa che si è tenuta a Washington DC, nel centro nevralgico dove lobbisti di ogni bandiera hanno passato gli ultimi mesi a cercare di fargli cambiare idea. "Questa settimana si apre una nuova era per il sistema dei nomi di dominio, una pietra miliare nella storia di internet", ha detto Beckstrom. "Internet, come sappiamo, è stato sviluppato inizialmente negli Stati Uniti. Era americano al 100%, ora sta diventando 100% globale. Il nuovo piano facilita questa transizione, che è un bene per il mondo e per l'umanità".

Non solo alfabeto latino. Il ragionamento di Icann, organizzazione composta da una galassia di soggetti diversi, è che ormai nel mondo metà degli utenti di internet  -  circa un miliardo  -  si trova in Asia. Di questi, quasi 500 milioni sono in Cina. "È un paradosso che oggi su internet non ci sia un singolo dominio generico di primo livello scritto in caratteri cinesi o arabi", ha detto Beckstrom. "Grazie al nuovo programma, per la prima volta organizzazioni di Pechino, di Nuova Delhi o del Qatar potranno fare domanda per nomi di dominio nei propri alfabeti. Gli utenti di queste aree geografiche vogliono l'accesso a queste risorse, si rendono conto che è un loro diritto e non è giusto aspettare oltre".

Le critiche. L'aspetto multiculturale, però, non è bastato a convincere il Congresso americano e le tante aziende e organizzazioni che si sono schierate contro il piano. Un primo problema riguarda la proprietà intellettuale e la protezione dei marchi di fabbrica. Il fenomeno incriminato, noto come cybersquatting, si verifica ogni qualvolta un soggetto si impossessa indebitamente del nome di dominio di un marchio altrui a scopi criminali e/o di lucro. Uno dei rischi, dunque, è che le aziende inizino a investire in maniera difensiva per proteggere i loro brand comprando suffissi Web che non avrebbero mai avuto intenzione di utilizzare - un po' come sta accadendo con il famigerato dominio porno .xxx, per ora andato a ruba più tra le università e le aziende in forma preventiva che tra le varie anime del porno. Preoccupazioni a riguardo sono state espresse anche dalle Nazioni Unite e da altri organismi internazionali (tra cui il Fondo Monetario Internazionale) che insieme hanno scritto una lettera all'Icann chiedendole di preservare indirizzi come .un o .imf.

Il braccio di ferro con il Congresso Usa. Né sono apparse più morbide le posizioni del Parlamento americano, che con il senatore democratico Jay Rockefeller ha chiesto a Icann di "limitare drasticamente" il numero dei nuovi domini, mentre il presidente della Federal Trade Commission, Joe Leibowitz, è arrivato a definire il provvedimento come un "potenziale disastro" e una "porta d'accesso alle frodi online". Secondo il Wall Street Journal, il braccio di ferro rende l'idea di come il peso del Web sia cambiato nel corso dell'ultimo decennio. L'organizzazione, infatti, fu fondata nel 1998 per sollevare il governo statunitense dalla responsabilità di accollarsi da solo "la stabilità operativa del Web". Da allora i suoi processi decisionali sono sempre avvenuti in modo forse caotico, ma di  fatto pluralista: tra i gruppi d'interesse che gli orbitano attorno ci sono governi, ma anche aziende, enti di registrazione, aziende, esperti di sicurezza e altre non profit, in un multiverso così vasto da rendere impossibile la dominanza di un soggetto sull'altro.

Il nuovo volto di internet. Da tempo, quindi, Washington ha perso quel ruolo di leadership che a volte ancora vorrebbe avere. "Icann è un'organizzazione internazionale", ha ricordato il CEO. "Ha sede in America ma rappresenta interessi globali. C'è una tensione con chi vorrebbe che fosse un organismo statunitense, ma non lo è". In tutto ciò la sicurezza resta un tema cruciale (per capirlo basta dare un'occhiata alla Applicant Guidebook http://newgtlds.icann.org/en/applicants/agb 1), su cui però è necessario "lavorare tutti insieme, e quindi anche con Paesi come la Siria, la Corea del Nord, l'Iran". Difficile fare previsioni su come sarà internet tra 5-10 anni. "Di certo  -  ha azzardato Beckstrom  -  somiglierà meno a un singolo Paese e più al mondo così com'è. Sarà più ubiquo, ci saranno più nomi, dispositivi, diversità. Ci sarà spazio per lingue diverse, meno latino e più cinese, arabo, cirillico. Qualcuno si potrà chiedere perché stiamo facendo questo. La domanda è un'altra: come avremmo potuto aspettare ancora?".
(11 gennaio 2012)

lunedì 9 gennaio 2012

Diamonds ‘entangled’ in physics feat


December 17, 2011 in Featured, Quantum Physics by ri
By zapping diamonds with an enormous number of laser beam pulses, physics researchers have created several cases of what Einstein called “spooky action at a distance.”
A team of scientists showed that two diamonds can entangle with one another, meaning that vibrations in one of the crystals share an invisible, long-range connection with vibrations in the other crystal.
“We have been able to demonstrate that even everyday objects can exhibit some of the strange, counterintuitive behavior of quantum physics,” said University of Oxford professor Ian Walmsley, who led the study, published recently in the journal Science.
Until now, scientists had only seen that phenomenon in frozen clusters of atoms.
“One of the weird effects well-known from atomic-scale systems is the possibility of superposition  the ability of an object to be in two places at once,” Walmsley said.
You may have heard of Erwin Schrodinger’s cat thought experiment in which a cat is both alive and dead at the same time because its life depends on an atom that has both decayed and not decayed. This paradox illustrates how bizarre superposition can be.
In the case of Walmsley’s study, photons were showing up in two spots at the same time and causing vibrations within a pair of diamonds. The researchers made it happen by placing two diamonds about 15 centimeters (about 6 inches) apart on a table and then shooting a series of photons at a device called a beam splitter. Most of them went toward one diamond or the other, but a few of the photons went both ways at the same time. When those multitasking photons struck the pair of diamonds, they caused vibrations called phonons with each of the crystals.

The light from each of the beams recombines after exiting the crystals. And sometimes when the light is leaving the crystals, it has less energy than when it entered. That’s how the researchers could tell that the photon had caused some vibrations.
“We know that one diamond is vibrating, but we don’t know which one,” Walmsley said. “In fact, the universe doesn’t know which diamond is vibrating  the diamonds are entangled, with one vibration shared between them, even though they are separated in space.”
Walmsley said that diamonds may someday be used to generate random numbers or store information in next-generation computers, but his colleagues point out that this particular research project does not have any immediate technological applications. It’s just really fascinating, and really confusing, at the same time.