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lunedì 30 aprile 2012

CNR: Il robot leader che guida i pesci alla salvezza

dal sito: www.lescienze.it

I ricercatori dell'Istituto per l'ambiente marino costiero del Consiglio nazionale delle ricerche di Oristano (Iamc-Cnr), in collaborazione con l'Istituto politecnico della New York University (Nyu-Poly), hanno ideato e creato un pesce robotico e testato la reazione comportamentale dei pesci alla sua presenza. I risultati dello studio hanno dimostrato che, in determinate condizioni, il robot viene accettato come un leader dai pesci reali, che lo seguono nei suoi movimenti. La ricerca, condotta da Stefano Marras (Iamc-Cnr) e Maurizio Porfiri (Nyu-Poly), è stata pubblicata sulla rivista 'Journal of the Royal Society Interface'.
"Il robot, realizzato presso la Nyu-Poly, è stato testato mentre nuotava assieme ai pesci in un tunnel di nuoto a differenti velocità del flusso", spiega Marras. "Utilizzando delle tecniche innovative di velocimetria di immagine di particelle digitali, abbiamo dimostrato come il movimento biomimetico del robot riesca a creare condizioni di turbolenza tali che i pesci tendono a posizionarsi al suo seguito, così da sfruttare un vantaggio idrodinamico e ridurre il proprio costo energetico durante il nuoto".
Le indagini finora condotte sulle interazioni tra robotica e biologia marina avevano utilizzato un pesce robot trascinato meccanicamente in un ambiente statico. "Il tratto innovativo di questa ricerca consiste nell'aver fatto interagire i pesci con un robot che imita artificialmente le caratteristiche degli organismi viventi, sia nelle fattezze che nel movimento, in un ambiente del tutto simile a quello reale", prosegue il ricercatore Iamc-Cnr, "La possibilità di controllare il pesce artificiale, modulandone il movimento e osservando le reazioni degli animali, permette di ricavare utili informazioni sugli schemi collettivi seguiti dagli animali e apre nuovi orizzonti nelle metodologie di conservazione della specie, dal momento che si potrebbe influire sul comportamento
dei pesci tramite il loro omologo  meccanico".
Se lo studio venisse validato in natura, facendo in modo che il robot venga seguito in differenti contesti ambientali, si aprirebbero quindi nuove prospettive di salvaguardia e conservazione di specie marine in pericolo. "L'allontanamento dei banchi di pesce dalle zone contaminate da fuoruscite di petrolio o l'aggiramento di dighe che impediscono il regolare percorso migratorio legato alla riproduzione sono solo alcune delle condizioni di pericolo delle quali i pesci potrebbero avvantaggiarsi seguendo i robot", conclude Marras.

Le tecnologie della repressione "Non datele ai regimi autoritari"

dal sito: www.repubblica.it

Alcune aziende occidentali vendono sistemi di sorveglianza e filtraggio online a governi autoritari. La Electronic Frontier Foundation ne denuncia l'uso contro gli attivisti per i diritti umani e civili e si appella ai governi per impedirlo. Anonymous non si fida e posiziona su server sicuri una guida per non farsi beccare in rete insieme a un manuale per le proteste di piazza e al kit di pronto soccorso 

di ARTURO DI CORINTO
I GOVERNI autoritari di tutto il mondo usano tecnologie europee ed americane per spiare i propri cittadini. Tecnologie per le intercettazioni email e telefoniche, tecnologie per il riconoscimento facciale delle foto di manifestanti e dissidenti, tecnologie per il riconoscimento vocale sulle reti mobili, tecnologie che possono avere conseguenze mortali per gli attivisti dei diritti umani e civili. E' l'allarme lanciato dalla Electronic Frontier Foundation 1, associazione americana per i diritti digitali, che chiede alle imprese di assumersi la piena responsabilità degli usi che i governi fanno dei loro prodotti.

Il tema, salito alla ribalta dopo l'esaltazione della comunicazione digitale e dell'uso dei social network durante le insurrezioni arabe - che pure sono serviti a rintracciare e punire gli attivisti tunisini, libici, egiziani e siriani - è tornato di stretta attualità dopo la scoperta che aziende come la Narus (consociata della Boeing) l'americana Blue Coat Systems e l'italiana Area Spa avevano fornito alle dittature di quei paesi tecnologie di sorveglianza per reprimere i propri cittadini in cerca di democrazia. Per questo la EFF ha appena pubblicato un libro bianco dal titolo "Diritti umani e vendita di tecnologia", in cui spiega come le aziende possono evitare di aiutare i regimi repressivi.

Secondo la EFF, il primo passo per impedire l'uso repressivo di tecnologie che sono usate anche per scopi leciti, è quello di garantire la trasparenza sia nella produzione che nella vendita e sottolinea l'importanza della stampa nel disvelare i comportamenti irresponsabili delle aziende coinvolte. Riferendosi alle inchieste del Washington Post, la EFF cita il caso della Nokia che dopo le proteste per la vendita di tecnologie di sorveglianza all'Iran, ha ceduto la propria consociata, oggi Trovicor, che costruisce centri specializzati per la sorveglianza di massa, e quello della McAfee che ha rifiutato di vendere queste tecnologie al Pakistan.

Il problema è però che le tecnologie di sorveglianza vengono spesso sviluppate e vendute attraverso triangolazioni di terze parti ed è difficile per i giornalisti tenerne traccia. La Blue Coat, ad esempio ha riconosciuto che la Siria ha acquisito i suoi sistemi di filtro per il web senza sapere come e solo la confessione di due dirigenti anonimi ha disvelato che il Bahrain ha fatto ricorso ai software di Trovicor per trascrivere i messaggi scambiati tra i manifestanti antigovernativi. Perciò la EFF non solo chiede trasparenza alle imprese, ma si appella ai governi, alle commissioni d'inchiesta parlamentari, e alle entità sovranazionali, affinché indaghino e ascoltino formalmente le imprese coinvolte in questo tipo di traffico.

A tale proposito la EFF ha elaborato una sorta di vademecum per le "audizioni" chiedendo di applicare le regole esistenti per la prevenzione dell'esportazione illegali di armi e i metodi usuali di lotta alla corruzione, certificando i venditori. A cui va chiesto esplicitamente di evitare rapporti commerciali con governi ed entità che possono usarle per violare i diritti umani, meglio se volontariamente, come hanno fatto sia la Nokia che Websense, ma anche intervenendo a livello legislativo. Come ha deciso il parlamento degli Stati Uniti che, preso atto del problema, ha incaricato una sottocommissione della Camera per redigere il Global Online Freedom Act (GOFA), una legge per limitare l'esportazione di tecnologie che "servono allo scopo primario" di sorvegliare o censurare i cittadini nei paesi nemici di Internet.

Il Parlamento Europeo invece, già dal 27 settembre ha approvato una risoluzione 4 che impone alle imprese europee autorizzazioni più severe per esportare in India, Russia, Cina e Turchia "tecnologie di telecomunicazioni che possono essere utilizzate in relazione ad una violazione dei diritti umani, dei principi democratici o della libertà di espressione".

Se la vigilanza degli attivisti per prevenire gli abusi è importante - gli egiziani hanno denunciato che il loro governo usava tecnologie inglesi per intercettare le chiamate via Skype - il ruolo delle aziende rimane cruciale. Infatti quasi tutte le tecnologie di sorveglianza sono usate anche per scopi legittimi, si parla di "dual use" come la sicurezza e la protezione da attacchi informatici, l'applicazione e il rispetto delle leggi e altri usi che hanno lo scopo di proteggere i cittadini. Ma proprio per questo, nei negoziati con il Consiglio, i deputati europei hanno ottenuto che nessuna autorizzazione generica all'esportazione può essere accordata per le tecnologie a "duplice uso" che potrebbero essere impiegate per scopi che violano i diritti umani. EFF chiede pertanto che diventi trasparente il prpcesso di commercializzazione delle tecnologie dual use.

E la libertà d'impresa? I profitti, i lavoratori? Che ne sarà delle commesse? Tanto per cominciare, spiegano alla EFF, i profitti arrivano comunque. Ci sono aziende come la Websense, che prosperano pur avendo messo in atto programmi di prevenzione affinché le loro sofisticate tecnologie non siano usate nella violazione dei diritti umani e poi, di fronte al diritto alla vita e alla libertà è ora di immaginare un nuovo tipo di responsabilità sociale per le imprese.

Intanto Anonymous, che non nutre molta fiducia nell'etica aziendale, ha diffuso l'Anonymous Care Package, un file .zip contenente tutti i trucchi per non farsi beccare in rete insieme a due manuali per limitare i danni di incontri sfortunati con gli apparati di polizia: uno per rendersi irriconoscibili nelle piazze delle proteste pur continuando a comunicare via tablet e cellulare,  l'altro di pronto soccorso.
(29 aprile 2012)

domenica 29 aprile 2012

La violenza fa invecchiare il DNA dei bambini

dal sito: www.lescienze.it

E' noto che lo stress favorisce i processi di invecchiamento precoce, ma una nuova ricerca ha dimostrato che questa azione si esplica fin dalla prima infanzia anche a livello di DNA attraverso un accorciamento prematuro dei telomeri: i bambini esposti a maltrattamenti e violenze risultano biologicamente più vecchi dei coetanei che vivono in un ambiente sereno.

 I bambini che hanno subito violenza potrebbe davvero essere di età superiore a loro anni. Il DNA di bambini di 10 anni di età che hanno subito maltrattamenti e violenze mostra segni di usura appaiono associati all'invecchiamento. La scoperta è stata fatta da un grupo di ricercatori della Duke University e dell’University College di Londra, che la illustrano in un articolo pubblicato su “Molecular Psychiatry”.
"Questa è la prima volta è stato dimostrato che i nostri telomeri possono ridursi a un ritmo più veloce, anche in età molto giovane, mentre i bambini stanno ancora sperimentando stress", spiega Idan Shalev, primo firmatario dell’articolo.

I telomeri subiscono un accorciamento ogni volta che la cellula si divide, ponendo un limite al numero di volte che essa può replicarsi. La loro lunghezza riflette quindi l’età biologica dell’organismo, che può differire da quella anagrafica perché fattori esterni quali il fumo, l’obesità, lo stress agiscono come fattori di invecchiamento dell’organismo attraverso diversi meccanismi, fra cui proprio l’accelerazione dell’accorciamento dei telomeri. Finora, però, gli studi che mostravano questo tipo di correlazione erano stati condotti su adulti, e per quanto riguarda lo stress, indicavano un rapporto fra l’usura dei telomeri ed esperienze molto precedenti nel corso della vita, compatibili con un meccanismo che si esplicasse su un arco di tempo molto esteso.

Il nuovo studio, basato in buona parte sui dati dell’Environmental-Risk Longitudinal Twin Study, che ha seguito 1100 famiglie britanniche con gemelli dalla loro nascita al 1990, ha valutato l’esposizione dei bambini a varie forme di violenza nei primi anni di vita, compresa la violenza domestica,
il bullismo o maltrattamenti fisici da pare un adulto. I soggetti esaminati sono ormai adulti, ma i ricercatori hanno potuto eseguire le analisi del DNA sui campioni che erano stati raccolti avevano fra i 5 e i 10 anni.

Dall’analisi dei risultati così ottenuti, i ricercatori hanno rilevato che il gruppo dei soggetti con una storia di due o più tipi di esposizione alla violenza mostrava una riduzione dei telomeri significativamente più marcata degli altri.

"La ricerca sulla genomica umana dello stress continua produrre nuovi incredibili fatti sul modo in cui lo stress può influenzare il nostro genoma e modellare le nostre vite", ha osservato Avshalom Caspi, che ha diretto lo studio.

Sottolineando che esiste evidentemente un meccanismo di accumulo dello stress e dei suoi effetti che è attivamente all’opera fin dalla prima infanzia, Moffitt ha concluso osservando : "Un grammo di prevenzione vale una libbra di cura. Alcuni dei miliardi di dollari spesi sulle malattie dell'invecchiamento come il diabete, malattie cardiache e demenza potrebbero essere meglio investiti nel proteggere i bambini dal male."

venerdì 27 aprile 2012

Il genoma dell'uomo moderno da contadini di 5 mila anni fa

dal sito: www.repubblica.it

LO STUDIO

Ricerca su Science: grazie a studi sul dna di uomini dell'età della pietra noi saremmo il risultato dell'incrocio tra popolazioni migrate dal sud verso nord, che portarono la rivoluzione agricola, e i locali cacciatori-raccoglitori

IL GENOMA dell'uomo moderno europeo è il risultato dell'incontro tra i primi agricoltori, migrati dal sud verso il nord dell'Europa, e la popolazione locale di cacciatori. Lo rivela l'analisi del Dna su resti umani risalenti all'età della pietra, rinvenuti in Svezia. La pratica dell'agricoltura è quindi arrivata nel nord Europa grazie alle migrazioni di coltivatori provenienti dall'Europa meridionale.

Il lavoro, pubblicato su Science, si deve a un gruppo coordinato dallo svedese Pontus Skoglund della Uppsala University. Lo studio, sottolineano gli autori, sostiene "con forza" la tesi che la rivoluzione agricola sia stata guidata da persone che emigrarono dal Sud Europa. Questi primi, intrepidi, agricoltori dopo aver viaggiato nel Nord Europa si sarebbero stabiliti vivendo per molte generazioni fianco a fianco con i cacciatori-raccoglitori, per poi incrociarsi, e ciò spiega i modelli di variazione genetica che caratterizzano oggi gli europei.

Secondo gli esperti il mondo agricolo ha avuto origine 11.000 anni fa nel Vicino Oriente prima di raggiungere il continente europeo circa 5.000 anni più tardi. Lo studio aiuta ora a comprendere l'impatto che la rivoluzione dell'agricoltura ha avuto sulle popolazioni dimostrando come il genoma dei moderni europei sia stato plasmato dalle migrazioni preistoriche.

I ricercatori hanno analizzato il Dna prelevato dai resti di tre antichi cacciatori-raccoglitori, la cui tomba è stata scoperta nell'isola di Gotland, in Svezia, insieme a quelli di un contadino,
sepolto a circa 400 chilometri di distanza vicino alla città di Gokhem. "Sappiamo che i resti dei cacciatori-raccoglitori furono sepolti in sepolture piane in contrasto con i megaliti che sovrastano le tombe dei contadini" ha rilevato uno degli autori, Mattias Jakobsson, della Uppsala University.

L'analisi del Dna di questi resti ha mostrato che alcune "firme genetiche" dei cacciatori-raccoglitori sono simili a quelle delle popolazioni del nord Europa di oggi, specialmente dei Finlandesi. Le firme genetiche dei primi agricoltori che colonizzarono il nord Europea hanno invece maggiori somiglianze con il patrimonio genetico delle attuali popolazioni del sud Europa, in particolare quelle mediterranee.
(26 aprile 2012)

Il telefonino potrà vedere oltre i muri in arrivo i sensori a terahertz

Dal Sito: www.repubblica.it

SCENARI

Sviluppata una tecnologia basata su uno spettro elettromagnetico non utilizzato, che permette di creare occhi elettronici in grado di superare gli ostacoli. Illimitate applicazioni possibili in campo civile, militare e medico. Ma non mancano i rischi

IN TEMPI BREVI, la visione oltre gli ostacoli potrebber diventare realtà. Addirittura per i telefonini, anzi soprattutto. All'Università di Dallas, un team di ricerca capitanato dal professor Kenneth O, sta conducendo esperimenti soddisfacenti con una zona non utilizzata dello spettro elettromagnetico e nuove tecnologie ottiche. E quello che ne è venuto fuori è un microchip in grado rendere gli smartphone capaci di visualizzare cosa c'è oltre un ostacolo solido.

Supervista.
Che si tratti di un muro o una superficie di legno, carta, plastica non importa. Dice il professor O: "Abbiamo utilizzato le frequenze dei terahertz, uno spettro non esplorato e dal potenziale infinito". La ricerca è stata condotta con l'intento di ridurre le parti meccaniche necessarie per creare immagini con le onde nei terahertz. E sta producendo una tecnologia che potrebbe sì mettere in grado gli smartphone di vedere oltre gli ostacoli, ma anche consentire la produzione di dispositivi per uso medico e civile. Lo spettro dei terahertz offre nuove possibilità di espansione anche per le comunicazioni, offrendo banda libera per il wireless, e probabilmente trasmissioni più veloci.

Possibilità e pericoli.
La ricezione delle onde terahertz unita alla nota e esploratissima tecnologia dei sensori Cmos, potrebbe portare queste capacità all'interno di una serie lunghissima di apparecchi. Che in mani sbagliate potrebbero diventare strumenti molto pericolosi. Per questo la ricerca al momento limita la distanza di "supervista" a pochi centimetri, ma certamente il limite è imposto e non assoluto. Immaginare scenari di uso militare per il super occhio del professor O è scontato. Ma è chiaro che i possibili usi concreti nella vita di tutti i giorni per persone e aziende sarebbero numerosissimi e al momento solo vagamente intuibili. Ogni settore avrebbe la sua applicazione, dall'energia ai trasporti, dall'intrattenimento all'economia alla profilassi medica. Verrebbe superato uno dei limiti congeniti dell'uomo, con un microchip in grado di entrare in un cellulare. E forse, quei fantomatici occhiali a raggi X pubblicizzati sui giornali negli anni 70, potrebbero trovare una versione contemporanea e ultraperformante grazie al lavoro della squadra del professor O.

 
(27 aprile 2012)

Bitcoin, la "criptomoneta" digitale anonima e sganciata dalle banche

dal sito: www.repubblica.it

RETE

E' l'unica valuta elettronica completamente indipendente dal controllo economico ufficiale, in cui ogni utente è di fatto una piccola banca. Ognuno può creare moneta e ottenere beni e servizi. Ma c'è un lato oscuro

ANONIMA e non tracciabile, come la parte nascosta della Rete. Si chiama Bitcoin ed è la moneta digitale che aspira a diventare la nuova frontiera delle transazioni su internet. L'unica tra le valute virtuali a non far riferimento a un organo bancario centrale di qualche tipo. Ma è anche la moneta ideale per pagamenti illegali, rigorosamente online. Una moneta, come tutte, a due facce: libertà nei pagamenti e zero inflazione, ma anche denaro virtuale per pagare armi e droga 1 al riparo da ogni forma di controllo.

L'idea su cui si basa la moneta elettronica creata nel 2009 da Satoshi Nakamoto è quella di creare e trasferire denaro usando la crittografia, invece che fare riferimento ad autorità centrali. Una vera e propria criptomoneta, che esiste solo per chi la conosce e la usa. E la usa per rimanere anonimo in tutti i pagamenti, essere slegato dai tradizionali processi economici come l'inflazione, le tasse, le commissioni, i vincoli delle banche.

La Bitcoin è una moneta digitale priva di un ente centrale, non tracciabile e creata in una rete "peer to peer". La gestione individuale permette di accedere a compravendite online da coloro che hanno scaricato (anonimamente) il software open source in grado di gestire le transazioni.

Portafoglio segreto.
Entrare nel mondo del cash digitale non è un processo immediato ma nemmeno difficile. Per cominciare a utilizzare la Bitcoin occore crearsi prima un portafoglio dove la moneta verrà conservata: si fa attraverso un'applicazione "client" da scaricare sul computer, oppure attraverso un sito dedicato. La moneta virtuale si può conservare sul proprio pc, rischiando però di perdere tutto se il computer si rompe. Ma naturalmente si è possibile archivarla online. Poi bisogna ottenere il cash elettronico per riempire il portafoglio: ci sono vari modi.

Le caratteristiche fondamentali della Bitcoin sono poche e precise: le monete possono essere trasferite tra qualsiasi "nodo" del network, ovvero tra coloro che hanno il software in grado di gestire le transazioni, che sono irreversibili e immediate (sono trasmesse in pochi secondi e verificate tra i 10 e i 60 minuti). L'algoritmo che è alla base del software consente di creare un massimo di 21 milioni di Bitcoin.

Ognuno è una banca.
Chiunque può coniare Bitcoin ma il processo è molto lungo. Per guadagnare immediatamente qualche moneta elettronica si possono completare dei "bonus program" su determinati siti che permettono di guadagnare monete digitali in cambio di piccole azioni come provare nuove app, guardare delle pubblicità, acquistare qualcosa su altri siti web. Altrimenti ci sono dei siti di cambio che vendono la moneta virtuale. Un bitcoin vale circa 3,8 euro.

Inflazione impossibile.
I bitcoin si muovono in una rete peer-to-peer, e visto che non esiste un ente centrale è impossibile per qualunque autorità tracciare i movimenti oppure manipolare il valore dei Bitcoin, quindi l'inflazione è impossibile. Proprio per l'impossibilità di essere tracciata, la Bitcoin è diventata la moneta prediletta per tutte quelle transazioni illegali, come la compravendita di armi e droga. Ma come in ogni cosa, il lato oscuro è il corrispettivo di quello chiaro: l'esistenza della Bitcoin testimonia come il cyberspazio sia un luogo vivo e ormai reale, in cui è possibile scambiarsi beni e servizi in un contesto avulso da quello tradizionale. 
(26 aprile 2012)

È arrivato Ubuntu 12.04 Linux si fa ecosistema

dal sito: www.repubblica.it

OPEN SOURCE

Rilasciata la versione per Pc e tablet della più diffusa distribuzione Linux. Migliorata di molto l'usabilità e la leggerezza. L'obiettivo è arrivare su smartphone, Tv e dispositivi di tutti i giorni


SCEGLIENDO il nome di un formichiere, il pangolino, e dandogli l'attributo di meticoloso ("precise"), Canonical ha lanciato Ubuntu 12.04, la sedicesima versione della fortunata distribuzione Linux "veloce, sicura ed elegantemente semplice", come recita il claim sul sito. Come al solito sarà possibile scaricarla gratuitamente dal sito ufficiale italiano 1 e installarla liberamente su un computer desktop, portatile, su un netbook o sul proprio tablet. E, quando l'ecosistema del progetto sarà completo, anche su una Tv, su uno smartphone o sui navigatori delle automobili. Con Ubuntu 12.04 si fa sempre più chiaro l'obiettivo del progetto: quello di creare un ambiente, libero e open source, basato su sistema operativo leggero e versatile e su un'interfaccia coerente, non a caso chiamata Unity, che sia in grado di adattarsi ad ogni tipo di schermo.

LE IMMAGINI 2

Ubuntu 12.04 è una versione LTS (long time support), ciò significa che è considerata abbastanza matura e stabile da poter ricevere un supporto dal produttore per 5 anni al posto dei 18 mesi delle versioni standard. Come ogni versione LTS, le modifiche sono state indirizzate soprattutto a migliorare la stabilità e a smussare le imperfezioni che a cambiare il sistema. Ma le novità non mancano.

Più usabilità. L'interfaccia Unity ha ricevuto leggeri ritocchi che ne migliorano l'usabilità, mentre la dash, il pannello che si apre facendo clic sul pulsante Ubuntu, e che sostituisce il classico menu di avvio, ha migliorato l'organizzazione delle icone e aggiunto un nuovo pannello Video che permette di cercare video all'interno del computer o su servizio di condivisione di filmati online come Youtube o Vimeo.

Unity, che rende il desktop di un computer molto più simile a quello di un tablet, ha ricevuto sin dalla sua introduzione diverse critiche. Ma versione dopo versione i miglioramenti sono sempre più visibili. Sebbene soffra di piccole integrazioni, in Ubuntu 12.04 Unity è precisa e veloce. Nei computer più datati l'interfaccia 3D può essere poco fluida, ma in fase di login, e rinunciando a qualche effetto speciale, è possibile passare alla quasi identica visualizzazione 2D per dare respiro al sistema.

La nuova navigazione tra i menu. L'Hud, acronimo di Head-Up Display, è una delle novità che rendono Unity più usabile. La funzionalità è pensata per sostituire gli attuali menu delle applicazioni, utilizzati sin dalle interfacce sviluppate dal Parc di Xerox negli anni '70. L'utilizzo è davvero semplice: quando si lavora con un'applicazione, si può premere il tasto Alt della tastiera per far comparire una casella nella quale digitare l'azione che si intende eseguire. L'Hud mostrerà, in un elenco, tutti i possibili comandi riguardanti quell'azione. Se si è in un browser e si digita "scheda", l'Hud mostra "Apri nuova scheda", "Chiudi scheda" e così via. L'Hud non è disponibile in tutti i software (non nella suite di produttività LibreOffice ad esempio), ma, dove c'è, funziona bene. A migliorare l'usabilità anche il miglioramento degli shortcut, le combinazioni di tasti che velocizzano l'esecuzione delle attività più comuni. Per visualizzare l'elenco di tutti questi comandi basta ora tenere premuto per qualche secondo il pulsante Super sulla tastiera (più noto come tasto Windows) .

Più controllo sulla privacy. Nuovo è anche il pannello di controllo delle opzioni di privacy, sviluppato da un programmatore italiano del team. Permette di controllare in modo analitico cosa il sistema e le applicazioni devono registrare e cosa no: è possibile cancellare la cronologia di alcune attività in base al periodo di tempo (ultima settimana, ultima ora ecc.), disabilitare la registrazione di attività per alcune applicazioni o impedire al sistema di registrare qualsiasi azione dell'utente.

I software e i dati nella Cloud. Come al solito molto ampia la disponibilità di software aggiornato e già disponibile al primo avvio. Lungo il Launcher (la barra laterale che permette di avviare le applicazioni) si troveranno i principali prodotti della suite LibreOffice per scrivere testi, creare presentazioni o fogli di calcolo. Il player musicale che dà accesso anche allo store musicale è Rhythmbox (prima era Banshee). Il browser predefinito è Firefox, ma è facile installarne uno diverso dall'Ubuntu Software center, una sorta di store di software stile Apple, ma dove i software liberi e gratuiti sono in grande maggioranza.

Un ritocco all'interfaccia ha subito anche Ubuntu One, il sistema di archiviazione online di file che dal 2009, ben prima di iCloud o Google Drive, permette di salvare file e documenti online e di sincronizzarli attraverso dispositivi diversi. Offre 5 GB di spazio gratuito, streaming musicale e opzioni di abbonamento per chi ha bisogno di più GB.

L'ecosistema Ubuntu. Con il rilascio di questa versione, che ha nome di sviluppo "Precise pangolin" (il "meticoloso pangolino"), Ubuntu si conferma ancora il sistema operativo più innovativo sul mercato. L'interfaccia stile tablet, adottata anche da OS X di Apple e dal futuro Windows 8 di Microsoft, è stato il primo passo verso l'integrazione di un solo sistema su una varietà di schermi. Mark Shuttleworth, il fondatore e finanziatore di Canonical, l'azienda che ispira il progetto, vede nel futuro di Ubuntu lo sbarco tanto su Tv e smartphone, quanto sugli schermi di molti altri prodotti: navigatori delle automobili, display degli elettrodomestici e così via. E ci mette anche la data 3: aprile 2014.

Alcuni passi sono stati già compiuti: al Mobile World Congress dello scorso Febbraio, Canonical ha presentato Ubuntu per Android, una tecnologia che permette a smartphone Android di trasformarsi in computer Linux semplicemente collegandoli ad uno schermo, ad una tastiera e ad un mouse. A gennaio è stata invece annunciata Ubuntu TV, una versione della distribuzione che potrà essere inclusa dai produttori all'interno delle cosiddette Smart Tv per permettere collegamenti ad internet, installazione di applicazioni esterne e così via. Entrambi i progetti sono rilasciati, naturalmente, con licenze open source, libere e gratuite. Un altro modo, insomma, per "portare il software libero nel mercato di massa: ai vostri nonni, ai vostri nipoti e ai vostri amici", quella che, secondo Shuttleworth, è "la vera sfida" che il progetto Ubuntu deve vincere.
(26 aprile 2012)

giovedì 26 aprile 2012

Come uno sguardo influenza una folla

dal sito: www.lescienze.it

L'imitazione del comportamento di chi si trova vicino è un fenomeno noto in molti animali, per esempio negli stormi di uccelli, e si manifesta anche nell'uomo, basandosi principalmente sul tracciamento della direzione dello sguardo degli altri. Una ricerca ha studiato a fondo i meccanismi di contagio dell'attenzione visiva nelle persone, scoprendo che l'area che inconsapevolmente monitoriamo di continuo in un posto affollato ha un raggio di circa due metri.
E' di circa due metri il raggio dello spazio intorno a noi che monitoriamo con particolare attenzione quando ci troviamo in uno spazio affollato, inconsapevolmente pronti a reagire a un comportamento insolito di chi ci sta vicino. A stabilirlo è stato uno studio condotto da ricercatori delle Università di Oxford, della Princeton University e dell'Università di Uppsala, che ne parlano in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

Per tutti gli animali sociali la capacità di percepire e interpretare il comportamento degli altri può essere fondamentale per la sopravvivenza: può dare indizi sui posti in cui è possibile trovare cibo o mettere in allerta di fronte al potenziale rischio costituito da un predatore o un aggressore. L’adeguamento al comportamento di chi è più vicino, come avviene nei banchi di pesci o negli stormi di uccelli, amplifica perturbazioni locali e permette la creazione di uno spazio sensoriale che va al di là del campo percettivo del singolo individuo, peraltro spesso limitato dalla presenza dei conspecifici nelle specie che vivono in gruppi piuttosto consistenti.

Uno strumento efficace con il quale gli individui valutano le caratteristiche del contesto locale in cui si trovano è il monitoraggio dell'attenzione visiva degli altri attraverso la determinazione della direzione del loro sguardo, un ambito di studi a cui etologi e psicologi hanno dedicato svariati studi. Per quanto riguarda l’essere umano, però, le ricerche si erano concentrate sull’analisi della funzione di questo strumento in ambiti ristretti, relativi per lo più all’interazione fra due persone. Ben poco si sapeva invece sul modo in cui il tracciamento dello sguardo altrui si propaga in un ambiente affollato e sul livello di impatto sull’attenzione
visiva collettiva.

Come uno sguardo influenza una folla 
 Un fotogramma delle riprese eseguite nella ricerca. (Cortesia Andrew C. Gallup et al. / PNAS))
A iniziare a porre rimedio a questa lacuna hanno pensato Andrew C. Gallup e colleghi, che hanno utilizzato una serie di telecamere aeree per riprendere i modelli di tracciamento dello sguardo in una folla di pedoni, innescati da un piccolo gruppo di volontari in due contesti urbani. Uno degli esperimenti è stato condotto per esempio in una strada commerciale di Oxford, in Regno Unito, dove i volontari si sono fermati in un punto particolarmente affollato iniziando a fissare una delle telecamere sospese sopra la loro testa.

Un altro esperimento è stato realizzato in una stazione ferroviaria della stessa città, nella quale i volontari mostravano un comportamento che poteva suscitare sospetti, come tracciare su un blocco d’appunti una mappa del posto, fingere di filmare di nascosto la scena.

I ricercatori hanno rilevato che anche se i passanti mostrano di seguire le rispettive direzioni dello sguardo, non c’è uno specifico “numero critico” di persone che fungono da stimolo, superato il quale si inneschi automaticamente un “contagio” che coinvolga una parte significativa della folla presente. Per contro, gli autori hanno scoperto che le interazioni visive tra i passanti si  verificano prevalentemente all'interno di appena due metri di distanza e dipendono dalle caratteristiche spaziali e dal contesto sociale in cui ci si trova.

SAPIENZA: La molecola dell'amore fa bene al cuore

dal sito: www.lescienze.it

Il gruppo di ricercatori della Sapienza, coordinati dal professor Andrea Lenzi, ha pubblicato su Circulation, la rivista più prestigiosa del settore cardiovascolare, una ricerca che potrà rivoluzionare l'uso di alcuni farmaci (in particolare il Sildenafil  -  Viagra®) finora usati solo per disturbi di natura sessuale: le note pastiglie stimolanti, non solo non sarebbero pericolose per il cuore come si pensava, ma avrebbero al contrario effetti benefici su determinate patologie cardiovascolari. I problemi che si sono verificati in concomitanza con l'uso di tali sostanze sarebbero infatti da imputarsi all'associazione con altri medicinali.

I ricercatori della Sapienza hanno dimostrato che questi farmaci agiscono su una molecola bersaglio, la fosfodiesterasi di tipo 5, che è in grado di intervenire sulle trasformazioni cardiache indotte dal diabete mellito. Il diabete come l'ipertensione o le altre malattie del sistema circolatorio, infatti può provocare un ingrossamento del cuore e una alterazione delle fibre del ventricolo sinistro che durante il battito si contrae di meno facendo ruotare di più il cuore. Tali alterazioni sono state misurate con una particolare tecnica di risonanza magnetica.

In collaborazione con le strutture di radiologia e di cardiologia della Sapienza, il gruppo del professor Lenzi ha dimostrato che l'inibizione della fosfodiesterasi di tipo 5 è in grado di riportare queste alterazioni a un livello vicino alla normalità nei pazienti diabetici e a confermare con indagini molecolari l'azione del farmaco sulle cellule cardiache.

"Questi dati potrebbero aprire le porte a una nuova classe di farmaci anti-rimodellamento, in grado di contrastare lo scompenso cardiaco che rappresenta una causa di morte nel paziente diabetico" -afferma il prof. Lenzi - "tale risultato mi rende particolarmente orgoglioso perché il successo della ricerca viene da un gruppo di giovani studiosi, Elisa Giannetta (ricercatrice a tempo determinato di 33 anni) e Andrea Isidori (ricercatore confermato di 37 anni) a testimoniare, che l'università italiana è ancora in grado di investire nelle giovani risorse e competere con ricerche di livello internazionale".

L’articolo è online sul sito: http://circ.ahajournals.org/content/early/2012/04/11/CIRCULATIONAHA.111.063412.abstract

Quantum physic mimics spooky action into the past - Quantum fisico imita azione spettrale nel passato

dal sito: www.quantumactivist.com


Physicists of the group of Prof. Anton Zeilinger at the Institute for Quantum Optics and Quantum Information (IQOQI), the University of Vienna, and the Vienna Center for Quantum Science and Technology (VCQ) have, for the first time, demonstrated in an experiment that the decision whether two particles were in an entangled or in a separable quantum state can be made even after these particles have been measured and may no longer exist. Their results will be published this week in the journal “Nature Physics“.

Entangled States

According to the Austrian physicist Erwin Schrödinger, entanglement is the characteristic trait of quantum mechanics. In addition to its crucial role for the foundations of physics, entanglement is also a key resource for upcoming quantum information technologies such as quantum cryptography and quantum computation. Entangled particles exhibit correlations which are stronger and more intricate than those allowed by the laws of classical physics. If two particles are in an entangled quantum state, they have perfectly defined joint properties at the expense of losing their individual properties. This is like having two dice which have no orientation until they are subject to measurement, upon which they certainly show the same (random) side up. In contrast, so-called separable quantum states allow for a classical description, because every particle has well-defined properties on its own. Two dice, each one of them with its own well-defined orientation, are in a separable state. Now, one would think that at least the nature of the quantum state must be an objective fact of reality. Either the dice are entangled or not. Zeilinger’s team has now demonstrated in an experiment that this is not always the case.

Exciting realization of a “Gedankenexperiment”

The authors experimentally realized a “Gedankenexperiment” called “delayed-choice entanglement swapping”, formulated by Asher Peres in the year 2000. Two pairs of entangled photons are produced, and one photon from each pair is sent to a party called Victor. Of the two remaining photons, one photon is sent to the party Alice and one is sent to the party Bob. Victor can now choose between two kinds of measurements. If he decides to measure his two photons in a way such that they are forced to be in an entangled state, then also Alice’s and Bob’s photon pair becomes entangled. If Victor chooses to measure his particles individually, Alice’s and Bob’s photon pair ends up in a separable state. Modern quantum optics technology allowed the team to delay Victor’s choice and measurement with respect to the measurements which Alice and Bob perform on their photons. “We found that whether Alice’s and Bob’s photons are entangled and show quantum correlations or are separable and show classical correlations can be decided after they have been measured”, explains Xiao-song Ma, lead author of the study.
According to the famous words of Albert Einstein, the effects of quantum entanglement appear as “spooky action at a distance”. The recent experiment has gone one remarkable step further. “Within a naïve classical word view, quantum mechanics can even mimic an influence of future actions on past events“, says Anton Zeilinger.
Publication in “Nature Physics“:

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 I fisici del gruppo del Prof. Anton Zeilinger presso l'Istituto di Ottica quantistica e Quantum Information (IQOQI), l'Università di Vienna, Vienna e il Centro per Quantum Science and Technology (VCQ) hanno, per la prima volta, ha dimostrato in un esperimento che la decisione se due particelle erano in uno o impigliato in uno stato quantico separabile può essere fatta anche dopo queste particelle sono state misurate e non può più esistere. I loro risultati saranno pubblicati questa settimana sulla rivista "Nature Physics".Stati entangled
Secondo il fisico austriaco Erwin Schrödinger, entanglement è il tratto caratteristico della meccanica quantistica. In aggiunta al suo ruolo fondamentale per i fondamenti della fisica, entanglement è anche una risorsa fondamentale per le prossime tecnologie dell'informazione quantistica, come la crittografia quantistica e computazione quantistica. Particelle correlate mostrano correlazioni che sono più forti e più complessa rispetto a quelli consentiti dalle leggi della fisica classica. Se due particelle sono in uno stato di entanglement quantistico, sono perfettamente definita proprietà comuni a scapito di perdere le loro proprietà individuali. Questo è come avere due dadi che non hanno orientamento finché sono oggetto di misurazione, su cui certamente mostrano la stessa (casuale) verso l'alto. Al contrario, i cosiddetti separabile stati quantici consentire una descrizione classica, perché ogni particella ha proprietà ben definite sulla sua propria. Due dadi, ognuno dei quali con un proprio ben definito orientamento, sono in uno stato separabile. Ora, si potrebbe pensare che almeno la natura dello stato quantico deve essere un fatto oggettivo della realtà. Sia i dadi sono impigliati o meno. Squadra Zeilinger ha ora dimostrato in un esperimento che questo non è sempre il caso.Eccitante la realizzazione di un "Gedankenexperiment"
Gli autori hanno realizzato sperimentalmente un "Gedankenexperiment" chiamata "scelta ritardata entanglement swapping", formulata da Asher Peres nel 2000. Due coppie di fotoni vengono prodotti, e un fotone di ciascuna coppia viene inviato ad una parte chiamata Victor. Dei restanti due fotoni, un fotone viene inviato al Alice parte e uno viene inviato al Bob partito. Victor possono ora scegliere tra due tipi di misurazioni. Se decide di misurare i suoi due fotoni in modo tale che essi sono costretti a essere in uno stato entangled, poi anche Alice e una coppia di fotoni entangled Bob diventa. Se Victor sceglie di misurare le particelle singolarmente, Alice e una coppia di fotoni di Bob finisce in uno stato separabile. Ottica quantistica moderna tecnologia ha permesso al team di ritardare la scelta di Victor e di misura per quanto riguarda le misure che Alice e Bob eseguire su di loro fotoni. "Abbiamo scoperto che se Alice e Bob sono fotoni entangled e mostrano correlazioni quantistiche o sono separabili e mostrano correlazioni classiche può essere decisa dopo che sono stati misurati", spiega Xiao-song Ma, autore principale dello studio.
Secondo le famose parole di Albert Einstein, gli effetti di entanglement quantistico appaiono come "azione spettrale a distanza". L'esperimento recente ha fatto un notevole passo ulteriore. "All'interno di una visione ingenua parola classica, meccanica quantistica può anche simulare una influenza di azioni future sugli eventi passati", dice Anton Zeilinger.
Pubblicazione in "Nature Physics":


Anonymous lancia due servizi web musica e privacy per gli hacktivisti

IL CASO

Si chiamano "Anonmusic" e "Anonpaste" e sono due iniziative legate al noto collettivo hacker senza volto. Il primo raccoglie e convoglia brani dalla Rete, il secondo garantisce riservatezza sui documenti divulgati

MUSICA E PAROLE per il gruppo "hacktivista" Anonymous, e non più solo attacchi informatici di protesta a siti e istituzioni. Un passaggio inatteso, ma che dimostra ancora una volta l'estrema interazione con la Rete di cui il collettivo senza nome è capace. Sono due i servizi che Anonymous ha creato in questi giorni, uno dedicato alla musica, Anontunes, e uno per evitare censure e garantire privacy quando si divugano documenti, Anonpaste.

Anontune. Non passerà inosservato, Anontune. L'idea è semplice e obbiettivamente geniale: raccogliere in un unico flusso tutta la musica in streaming disponibile sul web, da quella su Youtube a quella sugli innumerevoli servizi di divulgazione audio. Il servizio è ancora nelle sue fasi iniziali, e funziona permettendo agli utenti di creare delle playlist e "succhiare" il contenuto dai siti che ospitano musica in qualche forma. Anontune nasce da un'idea precisa, quella di offrire un modello di consumo "alternativo" e di proporre brani in una forma in cui i siti originari non permettono. "Youtube è pieno di canzoni, ma sono difficili da ascoltare per come è fatto il sito", dicono gli hacker. E così, Anontune convoglia in un unico stream i brani rintracciabili su Youtube, Yahoo, Myspace, Bandcamp e gli altri.
E c'è anche un attacco alle multinazionali della musica, come già avvenne ai tempi della chiusura di Megaupload: "Stiamo per arrivare a un modello di consumo in cui lpascolto di musica verrà pagato a tempo", dicono gli hacker. Così per ascoltare musica secondo Anonymous, basta scrivere le proprie playlist sul sito per vederle comporre, e riprodurle in tempo reale. "Operazione Mozart", la chiamano. Ma per ascoltare musica con Anontune, gli utenti fanno eseguire al browser del codice Javascript per il player. Che proviene sempre da Anonymous, con tutte le eventualità che questa origine comporta. Anche se in forma rudimentale, comunque, Anontune esiste. E fornisce musica senza etichetta, ma non "anonima".

Anonpaste. Divulgare testi in forma completamente anonima. Questo l'obbiettivo di Anonymous con Anonpaste, che sostituirà Pastebin, un sito di divulgazione documentale di terze parti, finora usato dagli hacktivisti. Negli ultimi tempi, Pastebin aveva cancellato alcuni file postati da Anonymous e secondo il gruppo hacker, il sito aveva anche segnalato degli Ip degli hactkivisti alle forze dell'ordine. Chiunque potrà usare Anonpaste per diffondere testi, senza censura e moderazione, e addirittura i contenuti postati non potranno essere cancellati, ma si potrà decidere quanto i testi resteranno online.
I documenti sono protetti da una crittografia a 256 bit, e si potranno importare testi dal peso fino a 2 megabyte. Con questi due servizi, Anonymous in qualche modo evolve e diventa parte "creativa" del web oltre a agente di controllo e protesta. E procede verso la definizione di un ecosistema di cui sarà difficile non tenere conto nele web che verrà.

 
(24 aprile 2012)

Perché non saremo mai super-intelligenti Esistono limiti evoluzionistici all'intelligenza umana: un QI troppo alto si accompagnerebbe a qualche guaio

dal sito: www.ilcorriere.it

LA DISCUSSIONE
MILANO - Il sogno di tutti: avere una super-intelligenza, essere capaci di ricordare tutto nei minimi dettagli, non lasciarsi sfuggire nulla di ciò che ci circonda. C'è chi prende perfino le "smart drugs" per migliorare le prestazioni del cervello, ma ora un articolo apparso su Current Directions in Psychological Science mette in guardia: non possiamo diventare super-intelligenti, esistono limiti invalicabili dettati dall'evoluzione. E se li superiamo, paghiamo l'"ultracervello" con qualche problema di altro tipo.

EVOLUZIONE  Thomas Hills, psicologo all'università di Warwick in Inghilterra, ha analizzato l'evoluzione umana chiedendosi perché la nostra intelligenza da secoli e secoli non sembra essere aumentata. Lo studioso fa notare che tutto, durante l'evoluzione, ha richiesto un compromesso: «Forse sarebbe stato utile essere alti due metri e mezzo, ma il cuore difficilmente può spingere il sangue tanto da raggiungere gli estremi di un tale spilungone: così, gran parte degli umani non supera il metro e ottanta>>osserva Hills. Gli stessi principi sono molto probabilmente validi anche per l'intelligenza e il cervello. Ad esempio, un bambino con un cervello e quindi una testa troppo grandi non nascerebbe tanto facilmente, perché non riuscirebbe a passare dal canale del parto: la pelvi delle donne non può allargarsi molto, pena un cambiamento sostanziale nel modo di camminare e stare in piedi».

INTELLIGENZA  Per spiegare i suoi ragionamenti, Hills riflette sulle capacità cerebrali che vorremmo vedere migliorate e sulle conseguenze che un loro potenziamento sostanziale porterebbe con sé. Il quoziente intellettivo, ad esempio, secondo lui non può crescere indefinitamente: una ricerca sugli ebrei ashkenazi, che hanno QI mediamente più alti di tutte le altre popolazioni, ha dimostrato che essi hanno subito una selezione evoluzionistica negli ultimi duemila anni che li ha portati ad eccellere in intelligenza, ma al contempo manifestano una maggiore incidenza di malattie del sistema nervoso come la malattia di Tay-Sachs. E secondo Hills proprio la maggior ?potenza? del cervello ha comportato tale fragilità di fronte alle patologie nervose. Se invece consideriamo la memoria, che tutti vorremmo più pronta e perfetta, scopriamo che avere ricordi troppo vividi può rovinare la vita. «Una memoria prodigiosa ha i suoi svantaggi: se ci accade qualcosa di brutto vogliamo dimenticarlo, come staremmo se fosse impossibile? ? si chiede lo psicologo ?. Molti, inoltre, vorrebbero migliorare le proprie capacità di attenzione e per questo alcuni prendono perfino dei farmaci: sappiamo però che queste sostanze sono d'aiuto a chi ha un basso livello basale di attenzione, mentre in chi non ha problemi possono addirittura condurre a performance peggiori. Questo significa che esiste probabilmente un "limite superiore" al grado di attenzione che possiamo mantenere senza danni. Pensate a che cosa potrebbe accadere guidando: l'attenzione è essenziale, ma va posta sugli elementi giusti, se si punta su un cartello stradale o la stazione radio da cambiare possiamo avere qualche guaio». Morale, siccome i compromessi necessari ad avere un super-cervello sono probabilmente inaccettabili per la nostra salute fisica e mentale, non saremo forse mai ultra-intelligenti: dobbiamo essere semmai in grado, dice Hills, di avere prestazioni ottime con un obiettivo alla volta, ma non possiamo desiderare di migliorare attenzione, memoria, intelligenza o altre capacità in maniera consistente e tutte allo stesso modo.
Elena Meli25 aprile 2012 | 15:14

mercoledì 25 aprile 2012

Superconduttività: osservato per la prima volta l'effetto CQPS

dal sito: www.lescienze.it

A cento anni esatti dalla scoperta della superconduttività è stata osservata sperimentalmente una sua conseguenza finora solo prevista per via teorica: lo slittamento quantistico di fase coerente (CQPS). Il risultato è stato raggiunto grazie a un qubit in cui la commutazione tra due stati può essere controllata con fotoni di microonde (red)

Non poteva esserci modo migliore per festeggiare il centesimo anniversario della scoperta della superconduttività: l’osservazione sperimentale dello slittamento quantistico di fase coerente (CQPS), un effetto previsto per via teorica e mai verificato sperimentalmente finora.

Sulle pagine della rivista “Nature”, Oleg Astafiev e colleghi dell’Istituto di studi avanzati RIKEN illustrano il risultato ottenuto con uno stretto tratto di un circuito di cavo superconduttore di ossido di indio.

Si tratta di un fenomeno simile all’effetto Josephson, scoperto nel 1962, secondo cui tra due superconduttori separati da uno strato di isolante si può verificare un passaggio di corrente per effetto tunnel. Quest’ultimo è uno dei fenomeni quantistici classici in cui una particella ha una probabilità non nulla di superare una barriera di potenziale anche quando non avrebbe l’energia sufficiente per farlo secondo le regole della meccanica classica.

Nel caso dell’effetto Josephson, sono gli elettroni a superare la barriera energeticamente “proibita”. Ma che cosa succederebbe in un apparato in cui superconduttori e isolanti fossero scambiati di posizione?

Secondo la teoria, si dovrebbe verificare un passaggio di quanti di flusso di campo magnetico da un isolante all’altro attraverso il superconduttore. Finora però non si era mai riusciti a osservare il fenomeno per via sperimentale. A questa mancanza hanno posto rimedio ora Astafiev e colleghi inserendo in un più ampio circuito un sottile cavo di ossido di indio (lo strato superconduttore) che così risulta inserito tra due strati di isolante (il vuoto).

Superconduttività: osservato per la prima volta l'effetto CQPS
Schema del qubit di Mooij–Harmans ottenuto con un sottile cavo di ossido di indio inserito in un più ampio circuito superconduttore (cortesia RIKEN)
Questo sistema realizza quello che viene chiamato qubit di Mooij–Harmans, un sistema quantistico che può assumere due stati, uno in cui la corrente superconduttrice nel circuito fluisce in senso orario e una in cui fluisce in senso antiorario, o in una sovrapposizione simmetrica dei due, descritta matematicamente dalla somma dei due stati originari. Oltre a ciò esiste un analogo di energia più alta denominata sovrapposizione antisimmetrica, ottenuta sottraendo lo stato antiorario da quello orario.

Nel loro studio, gli autori hanno preparato il qubit nella sovrapposizione di stati simmetrica e sono riusciti a commutarla in quella antisimmetrica con l’invio di fotoni di microonde. Proprio la transizione tra i due stati quantistici è accompagnata da un effetto tunnel del flusso magnetico o di slittamento di fase quantistica attraverso il nanocavo.

martedì 24 aprile 2012

Le slides del Prof. Piantelli sulla fusione fredda

Survey finds no hint of dark matter near Solar System


Survey finds no hint of dark matter near Solar System

Result poses a cosmic dilemma but critics prescribe caution.

In the largest survey of its kind to date, astronomers scouring the space around the Solar System for signs of dark matter — the hypothetical material believed to account for more than 80% of the mass in the Universe — have come up empty-handed.
If confirmed, the surprising result would upend a long-established consensus, researchers not involved in the study say.  For decades, cosmic theories have relied on dark matter — which exerts gravitational pull but emits no light — to be the hidden scaffolding that explains how structure arose in the Universe, how galaxies formed and how the rapidly spinning Milky Way manages to keep from flying apart. Without dark matter, theorists say, the visible material in the Universe, such as stars and gas, would not have the heft to do the job alone.
“If the results stand up, it’s going to be very difficult to make them compatible with the conventional view of dark matter,” says Scott Tremaine, an astrophysicist at the Institute for Advanced Study in Princeton, New Jersey, who was not involved in the study.
 In their survey, Christian Moni Bidin of the University of Concepcion in Chile and his colleagues used the European Southern Observatory’s 2.2-metre telescope in La Silla and three other telescopes to weigh, in effect, an extended volume of space centred around the Sun. Although this area cannot be measured directly, the total mass within the volume can be inferred by its influence on the motions of stars that are passing through.
The researchers measured the velocity of more than 400 stars within 4,000 parsecs (13,000 light years) of the Sun in a limited volume — a 15-degree cone — below the flattened disk of the Milky Way Galaxy, and then used those observations to extrapolate the velocities of stars on the other side of the disk, above the plane. This volume is approximately four times greater than that surveyed by other teams in previous studies.
The researchers found that at most, only about one-tenth the amount of dark matter predicted by models could exist in the volume of space they examined, Moni Bidin says.
Only if dark matter has a highly unlikely arrangement — squeezed into a shape like that of an upright rugby ball rather than a round soccer ball — could the team’s results be consistent with the dark matter that other researchers have, since the 1970s, said must exist to account for the rapid rotation of the outskirts of the Milky Way.
Moni Bidin adds that the myriad experiments designed to directly detect dark-matter particles “are doomed to fail” if the density of the invisible material is as low as he and his colleagues have found.

Agreeing to disagree

But Tremaine and others say that they won’t be convinced unless other teams, making their own observations, arrive at the same unsettling conclusion.
“I wouldn’t throw out nearby dark matter quite yet,” says Chris Flynn, an astronomer at the Swinburne University of Technology in Melbourne, Australia, who reviewed the paper, which has been accepted by the Astrophysical Journal.  “The measurement being made is very challenging, and there are a number of ways for it to miss the dark matter even if is there.” Despite his qualms, Flynn says that he “agreed to disagree” with the authors of the study and approved the paper for publication.
Heidi Newberg, an astronomer at the Rensselaer Polytechnic Institute in Troy, New York, notes that the difficult measurement is dominated by the matter near the plane of the Milky Way, which, unlike the rest of the Galaxy, is expected to be made up mainly of normal matter.  That makes it more difficult to tease out whatever dark-matter component may exist in the region.
She cautions that some of the general assumptions that underlie the result, although standard, are nevertheless only approximations.  “In my opinion, many of them will turn out not to be true in detail,” she says.
As an example, Newberg notes that the researchers assumed that the group of stars they examined were smoothly distributed above and below the plane of the Milky Way. But if the distribution turns out to be lumpier, as is the case for stars in the outer parts of the galaxy, then the resulting calculations of dark matter density could be incorrect.
Flynn agrees that there are a number of ways that the method employed by Moni Bidin and his co-authors “could get it wrong.”
Moni Bidin says he’s not sure whether dark matter exists or not. But he says that his team’s survey is the most comprehensive of its type ever done, and the puzzling results must be reckoned with. “We don’t have a good comprehension of what is going on,” he says.
Nature 
doi:10.1038/nature.2012.10494



 

Antibatterica e magnetica la carta diventa intelligente

Il nostro Istituto Italiano di tecnologia di Genova ridà nuova speranza alla carta. Molti futurologi avevano predetto la fine della carta come supporto. Invece non è escluso che il supporto del futuro sia la carta. Ma una nuova forma di carta, dotata di un plus che l'innovazione delle nanotecnologie ci mette a disposizione.
Invece di cristalli liquidi, led, schermi a matrice di qualunque tecnologia, il vecchio supporto di cellulosa potrebbe rivelarsi la chiave di volta del futuro della parola scritta (e forse anche delle immagini in movimento... chissà...). Buona lettura!

Sergio

dal sito: www.repubblica.it

RICERCA

Il materiale si arricchisce grazie a nanoparticelle di natura diversa che di volta in volta danno diverse qualità, lasciando intatta la struttura originaria. La tecnica messa a punto all'Istituto italiano di tecnologia di Genova di ALESSIA MANFREDI

MAGNETICA, antibatterica, fosforescente, idrorepellente e altro ancora: la carta diventa intelligente, grazie a infinitesimali particelle che le regalano nuove proprietà, conservandone però intatta la struttura originaria. L'idea di arricchire un materiale quotidiano, ubiquo e basso costo, grazie alla nanotecnologia è nata in Italia nei laboratori dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova dove un gruppo di giovani scienziati internazionali ha messo a punto la tecnica. Semplice, quasi banale, che apre però la via ad un futuro di applicazioni sempre più complesse.

Come si ottiene la super carta? Foderando le singole fibre di cellulosa con nanoparticelle di natura diversa che danno di volta in volta effetti specifici. Con l'ossido di ferro la carta diventa magnetica, l'argento invece la rende antibatterica, con il biossido di silicio diventa idrorepellente. Ma rimane sempre carta e ne conserva comodità e versatilità: si piega, si stampa, si arrotola, si accartoccia.

"Non si tratta di applicare una superficie sul foglio" spiega a Repubblica. it Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'IIT. "E' piuttosto un involucro tridimensionale che avvolge ogni singola fibra, aumentando così gli usi possibili dei prodotti cartacei". Una piccola rivoluzione, che a Despina Fragouli, team leader del Centro per le nanotecnologie biomolecolari dell'IIT è valsa il premio TR35-giovani innovatori, ideato da Technology Review, la rivista del Mit americano, andato anche ad altri tre ricercatori dell'istituto per ricerche diverse.

"Al progetto ha lavorato un gruppo di ricercatori giovani, fra cui molte donne, di diversi paesi" racconta Cingolani. "Spesso", continua, "si ha l'idea che le nanotecnologie implichino processi che necessitano di budget stratosferici, ma non è sempre così e questo caso lo dimostra".

La tecnica - brevettata dall'istituto - non è particolarmente complicata, anzi. Ed è talmente "friendly", che all'istituto la usano per fare esercitazioni pratiche con gli studenti dei licei. Sulle colline di Bolzaneto, sede della struttura - fondazione istituita con il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dal Ministero dell'Economia e Finanze per promuovere l'eccellenza nella ricerca di base e applicata - è in forza un esercito di oltre 650 cervelli. Vengono da 35 paesi diversi, età media 33 anni e mezzo. Fra questi anche molti "cervelli di ritorno" che fanno ricerca fra nanotecnologie, neuroscienze, sviluppo di farmaci intelligenti e robotica avanzata: è qui, infatti, che è nato iCub, il cucciolo di robot antropomorfo e prima piattaforma umanoide open source - sia per l'hardware che per il software - ideata per studiare la cognizione umana e l'intelligenza artificiale.

La carta intelligente guarda avanti. Una delle possibili applicazioni riguarda il campo dei documenti preziosi che si possono, ad esempio, crittografare magnetizzandone una piccola porzione. Fogli antibatterici possono essere impiegati per impacchettare alimenti. "Un tessuto antibatterico ha ovvie applicazioni in campo medico", sottolinea Cingolani. Perché la carta è solo un primo gradino, il meno complesso. La tecnica si può applicare anche a diversi materiali, fra cui, per primi, i tessuti.

 
(23 aprile 2012)

lunedì 23 aprile 2012

Contrordine: le espressioni facciali delle emozioni non sono universali

dal sito: www.lescienze.it

Una nuova ricerca su una questione che percorre la storia della psicologia da Darwin mette in discussione l'assunto secondo cui l'espressione facciale delle emozioni non dipende dalla cultura, ma è il frutto di una funzione biologica adattativa. Nei test, volontari occidentali e orientali forniscono risultati differenti quando si tratta di interpretare e categorizzare espressioni facciali generate al computer sulla base di movimenti muscolari elementari (red)
Le espressioni facciali delle emozioni sono universali oppure vengono apprese culturalmente? La questione è dibattuta da moltissimo tempo, a partire dalla ricerca di Charles Darwin, L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli altri animali, in cui il padre dell'evoluzionismo sosteneva che le espressioni facciali rappresenterebbero una funzione biologica adattativa, tanto da essere considerata uno dei temi centrali della storia della psicologia.

Secondo l’ipotesi dell’universalità, in primo luogo esisterebbe un piccolo numero di stati emotivi comuni a tutti gli esseri umani. Anche se in merito tra gli studiosi non c'è unanimità assoluta, c'è un buon accordo: su sei di questi stati felicità, sorpresa, paura, disgusto, rabbia e tristezza. Il secondo punto è che la comune base neurobiologica porterebbe tutti gli umani a una stessa mimica facciale quando si prova ciascuna di queste emozioni.

Ma in uno studio apparso ora sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” Rachael E. Jack, della Facoltà di psicologia dell'Università di Glasgow e colleghi dello stesso ateneo e dell'Università di Friburgo, in Svizzera, mettono in discussione l’assunto dell’universalità dopo averlo verificato con l’aiuto di una piattaforma di computer grafica in grado di combinare le grammatiche generative di Chomsky con la percezione visuale, grazie a cui è stato possibile ricostruire le rappresentazioni mentali delle sei espressioni facciali delle emozioni in 30 soggetti di diverse culture, divisi in due grandi gruppi: gli occidentali e gli orientali.

In particolare, l'apparato sperimentale è stato concepito per produrre, secondo una serie di regole e grazie al computer, un insieme di espressioni facciali sulla base di movimenti muscolari casuali. Ai partecipanti allo studio veniva richiesto di interpretare e categorizzare l'intensità emotiva indotta dalle animazioni facciali osservate (4800 complessivamente) e di misurarla su una scala a cinque punti. In questo modo, i soggetti interpretavano l'animazione facciale casuale come un'espressione facciale corrispondente a una propria rappresentazione mentale di tale espressione.

Il confronto transculturale delle rappresentazioni mentali mette in dubbio l'idea di universalità su due fronti. Anzitutto, mentre gli occidentali rappresentano ciascuna delle sei emozioni di base con un distinto insieme di movimenti facciali comune a tutto il gruppo, gli orientali non fanno altrettanto. Essi mostrano una minore distinzione e una  significativa sovrapposizione tra diverse categorie emotive, in particolare sorpresa, paura, disgusto e rabbia. Inoltre, gli orientali rappresentano l’intensità emotiva con una peculiare attività dei movimenti oculari.

I risultati della ricerca deporrebbero quindi contro l’ipotesi dell’universalità e a favore di una potente influenza della cultura nel plasmare il comportamento, una volta che è stato stabilito nelle sue linee essenziali dal substrato biologico. In conclusione, i dati aprono la strada a nuove opportunità di ricerca nel campo della psicologia evolutiva e delle neuroscienze sociali.

domenica 22 aprile 2012

Diamanti (quantisticamente) inseparabili

dal sito: www.lescienze.it

Due diamanti del diametro di circa un millimetro collocati a una distanza di 15 centimetri l'un dall'altro sono stati "forzati", a temperatura ambiente, a entrare in uno stato di entanglement  dimostrando che è possibile sfruttare anche in oggetti macroscopici questa "stranezza" quantistica (red)
La nostra intuizione sulla natura del mondo fisico è talmente condizionata dall'esperienza con oggetti macroscopici che interagiscono secondo le leggi della meccanica classica da rendere difficile comprendere appieno stranezze del mondo quantistico come la sovrapposizione (per cui quando un oggetto non viene osservato può trovarsi allo stesso tempo in più stati differenti) e l'entanglement o "non separabilità quantistica" (per cui lo stato di un oggetto si trova in stretta correlazione con quello di un altro oggetto con esso entangled, anche se essi sono spazialmente separati; ossia; se qualcosa altera lo stato quantico dell'uno, anche l'altro subirà un'alterazione).

Eppure la teoria prevede che stati di sovrapposizione ed entanglement siano possibili anche per oggetti di grandi dimensioni. Vero è che l'enorme quantità delle interazioni che sorgono fra i componenti elementari di un oggetto macroscopico e fra questo e l'ambiente sono tali da indurre sistematicamente quel fenomeno di "decoerenza", che impedisce di osservare a scala macroscopica gli effetti quantistici.

Tuttavia, l'esplorazione della persistenza delle correlazioni quantistiche nel mondo "classico" impegna molti fisici sperimentali, sia per il suo significato a livello di scienza di base sia per le sue  implicazioni a livello di applicazione in futuri computer quantistici.

Ora, un gruppo di ricercatori delle Università di Oxford in Oxford, di Singapore e del National Research Council canadese ha dimostrato che l'entanglement quantistico può manifestarsi in maniera (relativamente) vistosa anche nel mondo macroscopico.

Come viene descritto in un articolo pubblicato su "Science", i ricercatori sono infatti riusciti a porre in uno stato di "non
separabilità" quantistica due diamanti di circa un millimetro di diametro, collocati a una distanza di 15 centimetri l'un dall'altro e, cosa non meno significativa, a temperatura ambiente. L'eccitazione termica è infatti una delle principali cause di distruzione delle correlazioni quantiche alla base della nostra osservazione di risultati di misura classici e non a caso gli studi sperimentali sull'entanglement vengo condotti solitamente a temperature quanto più basse possibile.

In particolare, Ka Chung Lee, primo firmatario dell'articolo, e colleghi, sono riusciti a generare uno stato di entanglement tra due campioni di diamante utilizzando sofisticate apparecchiature laser, separatori di fasci e rilevatori (la tecnica è chiamata spettroscopia ultra pompa veloce sonda). mostrando che è possibile forzare i due diamanti a "condividere" i fononi, ossia gli schemi di oscillazione degli atomi nel reticolo cristallino dei campioni di diamante.

Orbitone, una nuova "quasi-particella"

dal sito: www.lescienze.it
 
Come particella libera l'elettrone è indivisibile, ma quando fa parte di una popolazione di altri elettroni all'interno possono verificarsi fenomeni inusuali: le sue "qualità" possono separarsi e vivere di vita propria come quasi-particella. Dopo spinone e olone, un gruppo di fisici svizzeri e tedeschi è ora riuscito a produrre e osservare una nuova quasi-particella di questo tipo: l'orbitone (red)
Oggetti e qualità: nel nostro mondo quotidiano le consideriamo come qualcosa di ben diverso. Ma alla scala quantistica le cose non sono così semplici e spesso non è facile, o possibile, fare una netta distinzione. Una nuova conferma di questa strana caratteristica della meccanica quantistica viene da uno studio pubblicato sulla rivista “Nature” relativo al “frazionamento” dell’elettrone.

L’elettrone è una particella elementare, e come tale ha due proprietà intrinseche ovvero lo spin e la carica elettrica. Se però viene osservato legato a un nucleo atomico ne ha anche un’altra: ha anche un numero quantico che esprime il suo momento angolare, corrispondente all’orbitale atomico quantizzato che occupa.

La cosa più singolare è però che come particella libera l’elettrone è indivisibile, mentre si comporta in modo assai differente quando fa parte di una popolazione all’interno di un materiale solido, in cui ciascun elettrone può essere considerato uno stato legato di tre “quasi-particelle”, ciascuna delle quali ha una delle tre proprietà separate.

Quando le dimensioni del solido preso in esame vengono ridotte, per esempio fino a un cavo monodimensionale, la teoria quantistica prevede che queste quasi-particelle possano separarsi. Nello specifico, l’elettrone si separa in due quasi-particelle indipendenti, una che trasporta lo spin (lo spinone) e una che trasporta la carica (l’olone), come osservato per la prima volta 15 anni fa.

La separazione spin-carica è un esempio di frazionalizzazione, un fenomeno in cui i numeri quantici delle quasi-particelle non sono multipli di quelli delle particelle elementari, ma loro frazioni. Questo effetto è una delle manifestazioni
più inconsuete della fisica quantistica a multicorpi e riflette un concetto molto profondo che ha avuto importanti conseguenze in diverse teorie, per esempio nella descrizione della superconduttività ad alta temperatura negli ossidi di rame.

Nello studio è stata appunto realizzata un'ulteriore frazionalizzazione dell’elettrone. I ricercatori hanno preso in considerazione l’eccitazione di un grado di libertà orbitale del rame nell’ossido Sr2CuO3, un isolante monodimensionale, in grado di produrre un processo di separazione spin-orbita analogo del meccanismo di separazione spin-carica.

Utilizzando una tecnica di diffusione inelastica risonante dei raggi X, Justine Schlappa, dell’Helmholtz-Zentrum Berlin für Materialien und Energie, insieme con Thorsten Schmitt del Paul Scherrer Institut di Villigen, in Svizzera, e Ralph Claessen dell’Università di Würtzburg, in Germania, è così riuscito a separare la “qualità” corrispondente al grado di libertà orbitale dell’elettrone tanto da poterla osservare come nuova quasi-particella: l’orbitone.

I ricercatori in particolare sono riusciti a osservare un orbitone che si separava dagli spinoni e si propagava attraverso il reticolo come una distinta quasi-particella con una sostanziale dispersione in energia sul momento,  pari a circa 0,2 elettronvolt.

sabato 21 aprile 2012

Usa, i provider lanciano l'allarme "La connettività wireless sta per esplodere"

dal sito: www.repubblica.it

MOBILE

Gli operatori cercano di espandere le reti acquistando banda da altri servizi. "O così, o non riusciremo a soddisfare la domanda", dicono. Ma dal mondo scientifico si alzano i dubbi: "Ogni previsione di questo tipo non si è mai avverata", dice l'inventore del cellulare. E uno dei padri di internet aggiunge: "Parlare di spettro e frequenze oggi è obsoleto"

LE RETI WIRELESS sono prossime al collasso. I grandi operatori statunitensi lanciano l'allarme:"Nei prossimi anni non avremo abbastanza banda per coprire l'enorme richiesta del mercato mobile". Verizon, AT&T, Sprint e T-Mobile chiedono più spettro radio, agitando anche un altro spettro: quello della crescita dei prezzi, quando la banda in mobilità diventerà un bene di lusso e le connessioni di qualità si faranno pagare.

Pericolo o esagerazione?
Non sembra dello stesso avviso Martin Cooper, l'inventore del telefono cellulare. Parafrasando Mark Twain Cooper dice che gli scenari apocalittici dipinti dai big della banda sono "largamente esagerati". Eppure, gli operatori insistono: da qui a qualche anno, comunicano, le infrastrutture dedicate al wireless potrebbero collassare sotto il peso delle richieste, e il risultato potrebbe essere lentezza di navigazione e difficoltà a trovare il segnale". Ed McFadden, vice presidente della comunicazione dell'operatore Verizon, dice senza mezzi termini: "Potremmo potenzialmente trovarci nella situazione di non poter soddisfare le necessità degli utenti". Ma qualcuno tra gli addetti ai lavori, soprattutto tecnici e ingegneri, vedono l'allarme come uno strumento strategico utilizzato dalle aziende per proteggere il loro mercato.

A tale proposito, Cooper dichiara che "Nell'ultimo secolo, ogni volta che si è prefigurato un problema di disponibilità di banda, è arrivata una tecnologia a salvare la situazione dagli scenari peggiori". E traccia linee economiche: "Acquistare banda è il modo più facile per gli operatori di espandere le loro reti, ma in realtà le tecnologie in arrivo, tra cui nuovi tipi di antenne e tecniche software, potranno aiutare a rendere attivi milioni di dispositivi senza necessariamente passare per l'ingrandimento dei network".

Le frequenze del vicino.
A favore degli operatori parlano i numeri. Secondo uno studio di Cisco Systems, l'uso di dati in mobilità è raddoppiato nel 2011. E di pari passo il numero di smartphone e dispositivi post-pc, che hanno necessità di essere sempre connessi per operare secondo le loro prerogative. Gli operatori chiedono quindi che la Federal Trade Commission analizzi la situazione dal punto di vista del numero delle richieste e prenda la banda là dove c'è. Ovvero alle altre strutture e servizi che ne fanno uso, dall'esercito alle emittenti commerciali, dalle comunicazioni a bassa frequenza all'FM. Verizon ha tentato persino l'acquisto di frequenze dai servizi di Time Warner e Comcast. E anche la FCC non è in disaccordo sulla necessità di ampliare lo spettro per il wireless, ma riconosce che l'evoluzione tecnologica e il miglioramento della ricezione nei dispositivi faranno e dovranno fare la loro parte.

In realtà, come spiega l'ex docente del Mit e uno degli architetti storici di internet David Reed, "Lo spettro elettromagnetico non è limitato. Si tende a pensarlo così perché è diviso in frequenze assegnate. Ed esistono già tecniche per trasmettere segnali diversi su una medesima frequenza". E aggiunge: "La parola spettro è inappropriata. E' un concetto degli anni 20 che oggi non ha alcun senso". E forse dalle parole di Reed passa il futuro che verrà, come quando progettava la rete che oggi circonda il mondo.
(20 aprile 2012)

XNA, l'alternativa sintetica al DNA

dal sito: www.lescienze.it
 
Per la prima volta si è riusciti a ottenere un sistema di codifica, trasmissione ed evoluzione dell’informazione genetica basato su acidi nucleici differenti da DNA e RNA, gli XNA. La scoperta può chiarire le origini della vita: uno di questi acidi nucleici sintetizzato dagli scienziati potrebbe infatti essere l’anello mancante fra il mondo pre-biotico e l'ipotizzato “mondo a RNA” primordiale  (red)

Alla base della vita ci sono due molecole: DNA e RNA, le sole che siano in grado di codificare e trasmettere le informazioni genetiche, e in grado di adattarsi nel corso del tempo ai cambiamenti, attraverso processi di evoluzione darwiniana. O almeno, erano le sole fino a ieri. A esse, come viene illustrato in un articolo pubblicato su “Science”, se ne affiancano ora delle altre: gli XNA.

Si tratta di una serie di acidi nucleici (NA, da nucleic acid) prodotti per sintesi da un gruppo di ricercatori del Medical Research Council di Cambridge, in Gran Bretagna, della Katholieke Universiteit di Lovanio, dell’Arizona State University e della Syddansk Universitet di Odense.

Il fatto che tutta la vita che conosciamo si basi su queste due molecole ha da tempo indotto gli scienziati a chiedersi se la trasmissione delle informazioni genetiche, ossia l’ereditarietà, e l’evoluzione potessero avvenire solo attraverso di esse. E proprio in questo filone di ricerca si inserisce la scoperta pubblicata su «Science».

Gli acidi nucleici sono polimeri i cui monomeri sono costituiti da un gruppo fosfato, uno zucchero e una di cinque possibili basi azotate, che rappresentano le lettere dell’alfabeto con cui si articola il codice genetico. Nel caso del DNA, lo zucchero è il deossiribosio e la basi azotate sono adenina, guanina, citosina e timina, mentre nell’RNA lo zucchero è il ribosio e una delle quattro precedenti basi azotate, la timina, è sostituita da un’altra, l’uracile.

Negli XNA, al posto degli zuccheri ribosio o deossiribosio c’è arabinosio (ANA), 2-fluoro-arabinosio (FANA), treosio (TNA), un analogo "bloccato" del ribosio (LNA, locked nucleic acid) anidroesitolo (HNA) o addirittura cicloesene (CeNA).

XNA, l'alternativa sintetica al DNA
Il DNA e le sue alternative sintetiche  (Cortesia Science /AAAS)
In realtà, i ricercatori hanno preso in esame anche altri possibili XNA, ma per questi sono riusciti a ottenere un altro elemento essenziale alla trasmissione dell’informazione genetica: le polimerasi.

Le DNA e RNA polimerasi sono enzimi capaci di leggere, trascrivere e retro-trascrivere le normali sequenze di acidi nucleici. In natura, tuttavia, non esistono polimerasi per le molecole di XNA. I ricercatori sono però riusciti a produrre polimerasi sintetici che potrebbero copiare il DNA in XNA e altre che potrebbero retro-trascrivere gli XNA in DNA.

Vitor B. Pinheiro, primo firmatario dell’articolo, e collaboratori hanno mostrato che diversi XNA possono funzionare come polimeri genetici sintetici, ma non hanno ancora realizzato un sistema genetico sintetico completamente “autonomo” rispetto al DNA. Tuttavia ciò è più che sufficiente per rilanciare il dibattito sule origini della vita. Secondo un'ipotesi, la più semplice molecola di RNA avrebbe preceduto il DNA come mezzo di codifica dell’informazione genetica e i primi esempi di vita si sarebbero basati sull’RNA dato che questa molecola è anche in grado di catalizzare reazioni chimiche, come un enzima.

Tuttavia, la comparsa di una molecola complessa come l’RNA da una sequenza di processi casuali a partire da prodotti chimici semplici è da molti considerato un evento improbabile. "Si tratta di un grande problema", osserva John C. Chaput, che ha partecipato alla ricerca. "Come sarebbe potuto emergere un mondo a RNA? Si è generato spontaneamente, o era il prodotto di qualcosa di ancora più semplice?"

Secondo i ricercatori, il TNA potrebbe essere un buon candidato al ruolo di intermediario fra il mondo pre-biotico e il mondo a RNA. "Il TNA fa alcune cose interessanti", dice Chaput, sottolineando la capacità della molecola di legarsi con accoppiamento di basi antiparallelo all’RNA. "Questa struttura fornisce un modello di come gli XNA avrebbero potuto trasferire le informazioni dal mondo pre-RNA al mondo RNA".

giovedì 19 aprile 2012

Scie chimiche e Umanità sintetica


veramente interessante se ce la farete a vederlo fino in fondo....

Piccola puntura nella retina e i topi ciechi tornano a vedere

dal sito: www.repubblica.it

IL TEST

L'esperimento di un gruppo di studiosi dell'University College London Institute of Ophthalmology. Inserite nella retina cellule fotosensibili alla luce. La ricerca, pubblicata su Nature, apre nuove speranze nella cura nella cura della cecità e delle malattie degenerative degli occhi anche nell'uomo di VALERIA PINI

UNA PICCOLA puntura e ai topi di laboratorio è tornata la vista. Nella retina dei roditori malati sono state trapiantate cellule fotosensibili alla luce. L'esperimento di un gruppo di studiosi dell' 1University College London Institute of Ophthalmology 2, appena pubblicato su Nature 3, apre nuove speranze nella cura della cecità e delle malattie degenerative degli occhi anche nell'uomo. Iniettando nella retina cellule progenitrici dei bastoncelli, che insieme a i coni sono i fotorecettori chiave della vista, l'équipe è riuscita per la prima volta a guarire topi ciechi. Il bastoncello è un è una cellula fotosensibile della retina, un cosiddetto fotorecettore, e permette di vedere in condizioni di scarsa luminosità.

I fotorecettori trapiantati sono estremamente importanti per vedere al buio. Per l'esperimento, i ricercatori, guidati da Robin Ali dell'Istituto di oftalmologia dell'ateneo britannico, hanno utilizzato bastoncelli immaturi prelevati da giovani topi sani, che dopo 4-6 settimane hanno iniziato a funzionare come cellule 'originali', attivando anche le connessioni necessarie a trasmettere gli impulsi visivi al cervello. Dopo sei settimane una cellula 'trapiantata' su sei era riuscita a ricostruire le informazioni necessarie alla guarigione.

Per testare la vista dei roditori, i ricercatori hanno creato un percorso a ostacoli in acqua. Gli animali si muovevano in penombra. I topi da laboratorio sottoposti a trapianto, sono riusciti a spostarsi senza difficoltà e a uscire dall'acqua, mentre gli altri sono rimasti bloccati all'interno del piccolo labirinto. "Abbiamo dimostrato per la prima volta che fotorecettori trapiantati possono integrarsi con successo nei circuiti della retina e migliorare la visione - afferma Ali - .Speriamo di essere presto in grado di replicare questo successo con fotorecettori ottenuti da cellule staminali embrionali, e infine di avviare studi sull'uomo. Nonostante ci siano numerosi passi prima di arrivare a un'eventuale terapia per i pazienti - precisa lo studioso - in futuro potrebbero beneficiarne migliaia di persone che hanno perso la vista a causa di una malattia degenerativa".

"E' il primo passo per una serie di importanti test medici che coinvolgono sperimentazioni sulla vista, ma anche altri settori - commenta il dottor Rob Buckle del Medical Research Council, fra i finanziatori della ricerca - . Dimostra per la prima volta che, nella cura della cecità, il trapianto di cellule può portare alla guarigione. E' un nuovo filone di studio per sviluppare terapie nuove per i milioni di persone che soffrono di malattie della vista nel mondo".
(19 aprile 2012)

Le sorprese del grafene: il "materiale delle meraviglie


Da sito : www.repubblica.it
MATERIALI

Un composto da premio Nobel, con straordinarie proprietà fisiche e chimiche ancora tutte da scoprire. Dai metodi di produzione basati sui microbi fino ai nuovi dispositivi elettronici, ecco le nuove interessanti scoperte sul grafene di MASSIMILIANO RAZZANO

IMMAGINATE un materiale capace di condurre l'elettricità meglio del rame, trasparente come il vetro e più resistente dell'acciaio. Immaginate poi di poterlo piegare come se fosse plastica, e realizzare così schermi touchscreen da arrotolare e portarvi in tasca. Pura fantascienza? Forse no, perché gli scienziati conoscono già da anni il grafene, un "materiale delle meraviglie" con proprietà ed applicazioni in parte ancora ignote.

Così, mentre parte della comunità scientifica sta studiando le caratteristiche del grafene, molti ricercatori in tutto il mondo sono impegnati a sviluppare tecniche di produzione innovative, come quella recentemente sviluppata alla Toyohashi University of Technology 2.

Un gruppo coordinato da Yuji Tanizawa è infatti riuscito ad "addomesticare" dei microorganismi raccolti in un fiume vicino al campus universitario, nella prefettura di Aichi, ed utilizzarli così per produrre i sottilissimi fogli di grafene. Il nuovo metodo, presentato sulle Conference Series del Journal of Physics, sfrutta quindi un procedimento ibrido che combina processi chimici ed agenti biologici e che potrebbe offrire un nuovo canale per produrre grafene di alta qualità, a basso costo, e nel completo rispetto dell'ambiente.

Un materiale da premio Nobel
. Costituito da uno strato di atomi di carbonio collocati su una struttura a nido d'ape, il grafene è considerato uno dei materiali più promettenti del futuro. Questo materiale bidimensionale è infatti ultrasottile, flessibile, ed è circa 200 volte più resistente dell'acciaio. E' inoltre un ottimo conduttore di calore e di elettricità, e per le sue proprietà di trasporto degli elettroni è già considerato l'erede del silicio 3nell'elettronica del futuro.

Ma uno degli aspetti più sorprendenti del grafene è che ce l'abbiamo sotto gli occhi praticamente quasi tutti i giorni, ogni volta che scriviamo con una matita. La grafite, di cui è fatto il cuore delle nostre matite, è infatti una sovrapposizione di strati di grafene separati da tre decimilionesimi di millimetro.

Nonostante molti studi teorici avessero iniziato a delineare le proprietà fisiche e chimiche degli strati di grafite sin dalla prima metà del Novecento, il grafene rimase per decenni lontano dai laboratori. Si riteneva infatti che la configurazione atomica del grafene fosse altamente instabile e che fosse quindi impossibile crearlo a temperatura ambiente.

Tutto cambiò nel 2004, quando un gruppo di ricercatori dell'Università di Manchester, guidati da Andre Geim e Konstantin Novoselov, riuscì per la prima volta ad isolare il grafene in laboratorio. Geim e Novoselov avevano infatti usato un nastro adesivo per strappare singoli piano di grafene da un substrato di grafite. La scoperta, discussa su Science nell'ottobre 2004 4, era così rivoluzionaria da meritare un biglietto per Stoccolma in tempi record. Dopo solo sei anni, Geim e Novoselov ricevettero il premio Nobel 2010 per la Fisica 5, per "i pionieristici esperimenti sul materiale bidimensionale grafene".

Batteri mangia-grafite. La scoperta di Geim e Novoselov aprì la strada ad un nuovo settore della fisica dei materiali, su cui iniziarono a lavorare scienziati in tutto il mondo. Molti gruppi di ricerca, come quello di Tanizawa, si concentrano oggi sullo sviluppo di tecniche di produzione alternative al metodo di esfoliazione adottato da Geim e Novoselov.

Il gruppo giapponese lavora infatti sui metodi di tipo chimico, che sfruttano cioè reazioni per produrre grafene a partire dall'ossido di grafite. Questo materiale ha una struttura laminare molto simile alla comune grafite, ma dove però ad alcuni atomi di carbonio sono legati altri atomi, come ad esempio ossigeno ed idrogeno. Per produrre il grafene, si operano dei processi chimici di riduzione, nei quali cioè vengono ceduti elettroni all'ossido di grafite, in modo da spezzare i legami con l'ossigeno e ricondursi poi ai singoli piani di grafene.

Tuttavia questi processi chimici utilizzano come reagente l'idrazina, oppure si basano sul riscaldamento ad altissime temperature, due tecniche che rendono il procedimento molto costoso e persino tossico. Per questo motivo i ricercatori giapponesi hanno deciso di "chiedere aiuto" ad alcuni microorganismi capaci di operare processi di riduzione chimica.

Molti batteri, come ad esempio quelli della specie Shewanella oneidensis, ricavano infatti energia dai processi di riduzione, trasportando cioè elettroni verso l'esterno in un curioso processo di respirazione cellulare 6. Facendo "respirare" ai microbi l'ossido di grafite per tre giorni ad una temperatura controllata di 28 °C, i ricercatori sono così riusciti ad ottenere frammenti di grafene grandi 100 micron e di ottima qualità, in un processo non tossico e poco costoso.

Dai transistor alle reti superveloci. Produrre grafene di qualità e a costi contenuti è una priorità, soprattutto in vista delle nuove potenzialità che si scoprono giorno dopo giorno. Sicuramente le applicazioni più promettenti sono legate all'elettronica, viste le peculiari proprietà del grafene nella conduzione di corrente. Nel 2010 ad esempio, un team della IBM è riuscito a creare transistor al grafene capaci di operare a frequenze superiori a 100 GHz.

Tuttavia per fare il salto verso processori a base di grafene occorre superare un ostacolo legato alle perdite di corrente di questi transistor, che impediscono di montare troppi transistor in un singolo circuito. Un ostacolo che potrebbe presto essere superato grazie ad una nuova scoperta realizzata da Andre Geim e pubblicata a febbraio su Science 7.

Geim e colleghi hanno infatti sfruttato la "terza dimensione" del grafene, accoppiando diversi strati di questo materiale con vari strati di metallo, creando così transistor di nuova generazione. Le proprietà quantistiche del grafene, legate ad esempio al basso momento magnetico dei nuclei di carbonio, rendono inoltre questo materiale un ottimo candidato per creare i dispositivi di base per la spintronica, ovvero l'elettronica basata sui bit quantistici, o qubit, che dovrebbe essere alla base dei computer quantistici 8.

Ma le meraviglie del grafene potrebbero portarci altri regali futuri, fra cui sistemi di trasmissione digitale ancora più veloci. E' infatti possibile alterare i livelli energetici del grafene per renderlo più o meno trasparente e creare così dei modulatori ottici, ovvero degli interruttori capaci di controllare il percorso dei segnali luminosi. I primi modulatori ottici a base di grafene, grandi pochi micron, sono stati realizzati all'Università di Berkeley e presentati per la prima volta su Nature 9 nel maggio dell'anno scorso. Questi 'interruttori luminosi' saranno utilissimi nell'ottica quantistica e nella comunicazione digitale ad altissima velocità.

Come la plastica cento anni fa. Le potenziali applicazioni vanno oltre l'elettronica o l'ottica. Per esempio, la densità del grafene lo rende impermeabile ai gas, una proprietà che potrebbe essere sfruttata per creare filtri più efficienti, ad esempio nella produzione di biocarburanti. Essendo poi un materiale praticamente bidimensionale, il grafene può essere usato per costruire sensori a grande area sensibile capaci di individuare singoli atomi, e costruire così rilevatori di sostanze tossiche estremamente sofisticati.

L'accoppiata fra le proprietà elettriche e meccaniche del grafene permetterà inoltre di costruire molti dispositivi estremamente efficienti e flessibili, fra cui schermi touchscreen 10, batterie ad alta capacità e pannelli solari di nuova generazione. Inoltre, i fogli di grafene possono essere arrotolati in nanotubi di carbonio, che già oggi sono alla base di moltissime applicazioni nel campo delle nanotecnologie.

Ma l'aspetto forse più intrigante è che gli scienziati sono ancora lontani dalla comprensione completa delle proprietà del grafene. Fino a pochi mesi fa non si sapeva molto delle proprietà magnetiche di questo materiale, fino a quanto il gruppo di Geim è riuscito a mettere in evidenza le prime tracce di fenomeni magnetici nel grafene, come descritto in un articolo apparso a gennaio su Nature Physics 11. E' sicuro che anche questa scoperta porterà a nuove interessanti applicazioni.

Il grafene è quindi ancora ricco di misteri. Le sue potenzialità sono così grandi che oggi è praticamente impossibile immaginarle tutte. A cosa servirà il grafene? Una domanda a cui nemmeno il premio Nobel Andre Geim sa ancora rispondere, come ebbe modo di dichiarare ai tempi del Nobel. "Non lo so. E' come presentare un pezzo di plastica a un uomo di un secolo fa e chiedergli cosa ci si può fare. Un po' di tutto, penso". Detto da un premio Nobel, non possiamo che fidarci.
 
(18 aprile 2012)