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Servizi, aziende, gruppi, esperti, organizzazioni,
istituti e think tank che si muovono nell'ombra. Tutti impegnati in
attività di spionaggio che spesso sfuggono al controllo governativo Usa
e le cui dimensioni sono difficilmente immaginabile. Le inchieste dei
maggiori quotidiani Usa di PAOLO PONTONIERE
SAN FRANCISCO - E' un mondo a parte.
Animato da servizi, aziende, gruppi, esperti, organizzazioni, istituti e
think tank che si muovono nell'ombra. Tutti impegnati in attività di
spionaggio che spesso sfuggono al controllo governativo Usa e le cui
dimensioni sono difficilmente stimabili anche dagli esperti di
sicurezza. L'influente periodico online
Salon.com scrive che il
fenomeno ricorda il maccartismo al tempo della Guerra fredda e i
complotti organizzati dal Cointelpro (un braccio illegale dell'FBI)
negli anni Sessanta contro chi si opponeva alla guerra in Vietnam.
La situazione è di una tale gravità che anche il
Washington Post,
giornale dell'establishment conservativo e terzo quotidiano
statunitense, ne ha denunciato i pericoli dedicandogli un'inchiesta ad
hoc. "La crescita smisurata e sregolata del Security and Surveillance
Industrial complex (il complesso industriale di sorveglianza e sicurezza
statunitense, un neologismo che la stampa ha coniato ispirandosi a
quello creato da Eisenhower per definire il nascente military-industrial
complex agli albori della Cold War,
ndr), non ha precedenti
nella storia del paese e dovrebbe invitare a riflettere sull'impatto che
avrà sul futuro del paese", spiega Joel Skousen, esperto di sicurezza
di
World Affair Briefs.
Il manipolo di ufficiali
all'interno del Dipartimento della Difesa (il ministero incaricato di
controllare il settore) ai quali è stato affidato il compito di
monitorare le operazioni riservate condotte negli Stati Uniti alla
fine ha confessato di essere totalmente sopraffatto dalla quantità di
queste iniziative private.
John R. Vines, un generale di
fanteria che nel 2006 comandò il corpo d'armata alleato d'occupazione in
Iraq, è tra quelli più preoccupati. "Non sono al corrente di nessua
istituzione che abbia l'autorità, la responsabilità o un metodo per
controllare tutte le operazioni di controterrorismo e di sicurezza
nazionale condotte in questo momento da organismi che lavorano per le
agenzie e da aziende private", ha dichiarato di recente Vines. "La
complessità di questo sistema sfida la comprensione al punto che non è
nemmeno possibile stabilire se questa azioni ci stiano rendendo più o
meno sicuri".
I numeri fanno paura.
Quasi seimila organizzazioni - di cui duemila private - che raccolgono
informazioni e fanno monitoraggio di tutti i tipi, quando non sono
direttamente incaricate di condurre operazioni di ordine pubblico. Circa
10.000 installazioni supersegrete dedicate alla sorveglianza e alla
raccolta dei dati personali degli americani e al controllo delle loro
attività, sia sul web che nella vita privata.
Una rete di
spionaggio che ha un impatto militarizzante sulla geografia del paese,
istituendo centri di sorveglianza non solo nei nodi nevralgici della
nazione ma anche nel cuore agricolo e rurale degli Usa. Un network dalle
diramazioni tentacolari che ha trasformato gli Stati Uniti in un misto
di gulag elettronico e prigione a cielo aperto nella quale i cittadini
sono tutti sotto osservazione.
Un settore che non conosce crisi. Oltre
un milione i nuovi addetti, a partire dall'11 settembre del 2001, ogni
anno si producono più di 50.000 rapporti riservati, che nella
maggioranza dei casi finiscono coll'essere ignorati "ma che comunque
servono ai politici per impaurire il pubblico", spiega Dana Priest, una
dei due autori della serie del Post.
Duecentomila consulenti privati con le
security clearance più alte che esistano. Quelle che danno per intenderci accesso ai segreti di Stato, a fatti che si discutono nella
situation room alla
Casa Bianca. Solo a Washington, per ospitare questi nuovi centri di
monitoraggio si stanno costruendo uffici che occuperanno una superfice
equivalente a quella di 27 nuove Capitol Hill, l'edificio che ospita la
Camera statunitense. E questi numeri darebbero, secondo Skousel,
un'immagine solo superficiale delle dimensioni mastodontiche raggiunte
negli ultimi 10 anni in America dal settore dello spionaggio interno.
"L'inchiesta
del Washington Post fa vendere il giornale, ma in quanto a svelare
quello che realmente sta succedendo in segreto non scalfisce nemmeno la
superficie", afferma Skousen. "Cose come il reclutamento,
l'addestramento e la gestione delle operazioni di spionaggio sul suolo
americano. A livello domestico queste coinvolgono solo lontanamente i
nemici reali del nostro paese. Bersagliano invece prevalentemente
alleati e dissidenti. Spesso si tratta di patrioti che il governo teme
perché un giorno potrebbero opporsi al totalitarismo montante che sta
investendo il paese".
E di questo clima di caccia alle streghe
stanno facendo le spese sopratutto i dissidenti politici e le minoranze
etniche e religiose. Terroristi potenziali come i membri del
Twin Cities Anti War Group
- un comitato pacifista - di Minneapolis e Chicago che a settembre sono
finiti di fronte a un Gran Giurì per attività terroristiche commesse
nel 2008.
Le attività in questione? Prendere parte a una delle
tante manifestazione di protesta che si tennero al Congresso
Repubblicano di quell'anno. A fare la soffiata era stata una certa Karen
Sullivan, una talpa che l'Fbi aveva fatto entrare nell'organizzazione
con l'incarico di provocare un intervento delle forze dell'ordine. "S'è
presentata come una lesbica con una figlia adolescente e una relazione
difficile con la partner", ha dichiarato Jess Sundin, uno dei pacifisti
arrestati. "Una storia simpatetica che ci siamo bevuti senza
difficoltà".
Il caso dei Newburgh Four. Una
sorte simile spesso tocca ai musulmani che frequentano le moschee dei
quartieri degradati alla periferia delle città americane. Gente come i
Newburgh Four, quattro afroamericani di uno dei quartieri più poveri di
Newburgh, una città della Hudson Valley a una sessantina di chilometri
da New York.
I quattro sono stati denunciati alla polizia prima
che potessero commettere attentati. A svelare i loro piani è stata una
soffiata di Shahed Hussain, un informatore dell'Fbi in quella che il
network
projectsalam.org definisce una strategia deliberata del Bureau che mira ad incriminare coloro che frequentano le moschee del paese.
All'Fbi
invece la chiamano "strategia di controllo delle probabilità
statistiche". Ovvero la verifica empirica che le proiezioni statistiche
formulate dagli analisti dell'agenzia rispetto ai focolari potenziali di
dissenso politico siano corrette. E così informatori ben pagati come
Hussain vengono inviati nelle moschee statunitensi per scovare
terroristi in erba offrendosi di finanziare i loro attentati.
La
strategia ha funzionato in questo caso. Poveri, illetterati, neri e con
trascorsi penali, i quattro s'erano fatti ammaliare dai regali di
Hussain e dall'offerta di 250 mila dollari per commettere un attentato.
Uno dei quattro risulterà poi essere affetto da gravi disabilità
cognitive.
E' andata diversamente nel caso di Khalifah
al-Alkili, un trentaquattrenne di Pittsburg. Qui la strategia si è in
parte rivolta contro la stessa Fbi. Giovane ed esperto delle nuove
tecnologie, al-Alikili non solo è riuscito a smascherare Hussain ma ha
anche chiesto aiuto al quotidiano britannico The Guardian. Ma il tutto
non gli è servito ad evitare il carcere. A marzo di quest'anno
al-Alikili è stato arrestato con l'accusa di simpatizzare per i
talebani.
L'orecchio della Nsa. Secondo Skousen,
la rete di sorveglianza messo a punto dalla National Security Agency,
l'agenzia segreta più segreta degli Stati Uniti, ogni 24 ore intercetta
oltre 1,7 miliardi di comunicazioni personali degli americani. Una media
di sei comunicazioni quotidiane per ogni statunitense vivente, incluso i
neonati, gli infermi e gli incarcerati. Un oceano di email, telefonate,
messaggini,
bill board posting e conversazioni di cellulare che vengono poi distribuite alle agenzie più disparate per analisi e possibili azione.
Se si trattasse solo di agenzie governative, giornali come il
New York Times e il
Washington Post non
avrebbero niente da ridire. Ma gli analisti dei due prestigiosi
quotidiani americani sono preoccupati proprio dal fatto che una buona
parte della sorveglianza la conducono aziende private.
Secondo
Democracy Now, un buon terzo delle operazioni di sorveglianza e
enforcement a stelle e strisce le conducono
contractor privati
e agenzie sconosciute. Ne sono consapevoli per esempio i membri di
Occupy Oakland, il ramo californiano di Occupy Wall Street, che non di
rado scoprono d'essere stati bersagliati o arrestati da addetti alla
sicurezza di organizzazioni sconosciute.
Questa constatazione è
stata addirittura usata da Jane Quan, sindaco della città californiana,
come una scusa per scaricare il barile delle responsabilità negli
incidenti che portarono al ferimento grave da parte delle forze
dell'ordine di due manifestanti nelle operazioni di sgombro che si
tennero l'ottobre scorso. In piazza, ha detto il sindaco a chi gli
chiedeva di dimettersi, erano presenti ben 17 agenzie tutte con le loro
armi e i loro addetti. Ragion per cui era impossibile, aveva affermato,
stabilire con precisione chi avesse sparato e con quale tipo di arma.
Nella lista dei privati pubblicata dalla Priest nel reportage
Top Secret America
figurano i soliti ignoti del settore guerrieri privati: aziende come la
Raytheon; la Booz Allen Hamilton: la L-3 Communications: la Csc; la
Northrop Grumman; la General Dynamics, la Blackwater e la Saic, che
esibiscono bilanci da miliardi di dollari. Quello che stupisce di più
però è che un buon 70 per cento sono aziende che fatturano meno di cento
milioni di dollari e raramente superano il centinaio di addetti. A
dimostrazione che la sicurezza ormai negli Usa è un "affare di
famiglia", condotto in gran parte da piccole aziende, che fanno
background check, controlli fiscali, intercettazioni telefoniche e internet, analisi mediche.
Un labirinto di appaltatori e sub-appaltatori che lavora sia per le agenzie governative - dalla
National Security Agency ai
dipartimenti di polizia dei trasporti delle città più sperdute - che
per le banche, le industrie, le scuole e i datori di lavoro. Eh sì,
perché adesso negli Usa i controlli sui potenziali dipendenti lo fanno
anche i piccoli negozianti.
E queste aziende non solo spiano ma fanno anche
policying.
Aiutano cioè il governo e il congresso americano a definire le risorse
da allocare per attività delle quali è oramai quasi impossibile stimare
l'estensione, il valore o l'efficacia ma che potrebbero assorbire già
oggi un buon 20 per cento del Pil statunitense. Nel caso degli addetti
ai lavori poi la spinta a produrre è stimolata dagli incentivi
economici.
Con salari minimi che veleggiano sui 90 mila dollari
l'anno e incentivi legati al volume di dati prodotti e delle condanne
ottenute, è comprensible che questi continuino a sfornare analisi,
rapporti su possibili attentatori, avvisi di reato, mandati di
perquisizione e ordini d'arresto preventive a iosa. "E' difficile che
queste attività non abbiano un impatto profondamente negativo sulla
nostra cultura e sulla maniera in cui viviamo", ha osservato sconsolata
di recente la Priest durante un'intervista alla
National Public Radio.
Intanto, forte del suo successo di pubblico,
Top Secret America, che ha un suo sito internet ed ha fruttato un premio Pulitzer ai suoi autori, è arrivato anche in libreria.
(22 maggio 2012)