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venerdì 29 giugno 2012

Incertezza

dal sito: www.lescienze.it

Il 31 maggio 1927 la rivista scientifica tedesca «Zeitschrift für Physik» pubblica un articolo destinato a sconvolgere il mondo della scienza, e non solo, dal titolo: "Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik", traducibile in italiano come "Sul contenuto visualizzabile della cinematica e della meccanica teoriche quantistiche".

L’autore, un fisico venticinquenne che già godeva di fama internazionale, in poco più di venti pagine elabora un ragionamento semplice, sottile e sorprendente, tratteggiando una delle più sconcertanti rivoluzioni del sapere umano: il principio di indeterminazione. Il giovane Werner Heisenberg è cosciente della portata «sovversiva» del suo scritto, in base al quale è impossibile conoscere contemporaneamente e con precisione massima velocità e posizione di un dato oggetto in movimento: quanto più precisamente si determina la posizione, afferma il principio, tanto meno si può conoscerne la velocità.

Un risultato che manda in frantumi la visione classica ottocentesca della scienza, secondo cui era scontato poter definire con precisione massima illimitata ogni parametro che descrive un fenomeno naturale.
Per celebrare gli 85 anni del principio di indeterminazione, allegato al numero di giugno di «Le Scienze» pubblichiamo Incertezza, di David Lindley, un libro che ripercorre in senso cronologico la genesi della rivoluzione intellettuale e scientifica di Heisenberg, e il successivo dibattito, che ha assunto toni anche feroci, innescato nella comunità dei fisici dalla pubblicazione del suo principio. In effetti, uno dei più restii ad accettare la novità di Heisenberg era stato proprio il grande mentore dell’epoca: il quasi cinquantenne Albert Einstein, il quale una ventina d’anni prima era stato protagonista di un’altra rivoluzione, con la sua teoria della relatività. Il principio elaborato dal giovane fisico tedesco forniva una solida base alla nascente meccanica quantistica, sgradita a Einstein.

Come spiega Lindley, astrofisico di formazione e già editor di «Nature», «Science» e «Science News»: «Nel mondo di Heisenberg, per quanto poteva capire Einstein, l’idea stessa di un fatto vero pareva sgretolarsi dando luogo a un assortimento di punti di vista inconciliabili. E questo, disse Einstein, era inaccettabile, se la scienza doveva avere un qualche significato attendibile». A quella che in seguito diventa una battaglia per lo spirito della scienza partecipa anche il fisico danese Niels Bohr, mentore prima e avversario scientifico poi proprio di Heisenberg.

Alla fine, sebbene riluttante, il padre della teoria della relatività riconosce la validità del principio elaborato dal suo giovane collega, al quale nel frattempo Bohr aveva dato una mano. Ma, ricorda Lindley, Einstein «non accettò mai che si trattasse dell’ultima parola». L’incertezza era un segno di un’incapacità umana, argomentava Einstein, non «un’indicazione di qualcosa strano e di inaccessibile riguardante il mondo stesso». Forse però c’era anche altro.

Le rivoluzioni, come sapeva Einstein, vedono spesso protagonisti i figli a spese dei padri, senza pietà alcuna. Quel giorno di maggio del 1927 era diventato lui il padre ingombrante. Un padre forse con qualche idea sbagliata, che un giovane determinato e probabilmente anche un po’ incosciente stava per travolgere. Un ruolo difficile da accettare per chiunque, anche per gli ex rivoluzionari.

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